Il Trittico del Rocciamelone

Tutti i Piemontesi conoscono il Rocciamelone, una montagna delle Alpi Graie il cui nome ha origine antiche e misteriose, situato al confine con la Val di Susa e la Valle di Viù, questa montagna svetta con un’altezza di 3.538 metri. Si dice che il suo nome sia celtico: “Roc Maol” in questa lingua leggendaria “Maol” significa sommità (perché appare come la più alta montagna della zona).

La vetta del Rocciamelone

Nel medioevo vi furono diversi tentativi di salita alla vetta, compreso uno da parte dei monaci dell’abbazia di Novalesa che, si legge negli annali dell’Abbazia, vengono respinti da vento e grandine. Il 1° settembre 1358 Bonifacio Rotario (Roero) da Asti compì la prima scalata documentata di una vetta alpina, collocando un prezioso ex voto, il famoso Trittico in bronzo dorato (definito “altarolo portatile”), sulla cima del Rocciamelone, dentro un piccolo antro scavato nella roccia, oggi inglobato nel Rifugio Cappella, sotto la statua della Madonna. Un’impresa tentata una prima volta arrivando solo a 2854 metri. Qui stabilì un accampamento che gli consentì poi di salire in vetta. La località, in onore dell’origine di Rotario, venne chiamata Ca’ d’Asti e vi sorgeranno una Cappella e un Rifugio.

La vetta in una immagine del secolo scorso

Questa storica impresa ebbe fin da subito un’importante eco, soprattutto a livello devozionale, non solo presso gli strati più bassi della popolazione, ma anche ai livelli più alti. Nel 1418, infatti, a sessant’anni di distanza dalla salita di Bonifacio, il duca di Savoia Amedeo VIII “il pacifico” volle salire sulla vetta del Rocciamelone. La prima menzione dell’altarolo compare in una anonima silloge epigrafica scritta poco dopo il 1585, intitolata “Inscritioni dell’antiche pietre marmoree, che si trovano in diversi luoghi di Susa”. Il Trittico rimase sul Rocciamelone, nell’antro fatto scavare dallo stesso Bonifacio e mal riparato da una precaria costruzione in legno, fino al 1673 quando si verificò un curioso episodio.

Il 6 agosto 1673 un certo Giacomo Gagnor di Novaretto nella Valle di Susa, detto “Giacomo il matto” per la sua semplicità, vedendo che molte persone si portavano nel giorno della festa per devozione sulla vetta del Rocciamelone, prelevò il Trittico dalla vetta e si recò a Rivoli alla Corte del Duca Carlo Emanuele II che lì si trovava in villeggiatura. Ammesso alla presenza del Duca e interrogato dal sovrano sul motivo della sua richiesta, disse che sapeva del desiderio di S.A.R. di vedere la Madonna del Rocciamelone, e per non fargli fare la faticosa salita, gliela aveva portata perché potesse venerarla. Da un sacco prese il Trittico e lo consegnò al Duca, il quale con tutta la Corte restò meravigliato, la fece subito collocare sull’Altare Maggiore della Chiesa dei Padri Cappuccini.

Successivamente convocò l’arcivescovo di Torino, mons. Beggiamo, perché verificasse le motivazioni che avevano spinto Giacomo Gagnor a tale gesto e questi stabilì che le intenzioni dell’uomo di Novaretto non erano state malevoli; inoltre, alcuni testimoni furono chiamati a verificare che l’oggetto portato dal Gagnor fosse effettivamente il Trittico posto sulla vetta del Rocciamelone. Di queste attestazioni è rimasta memoria in un verbale, citato da don Felice Bertolo nella sua opera “La Madonna del Rocciamelone”. Non appena si era sparsa la notizia dell’arrivo del Trittico a Rivoli, molti pellegrini si erano recati a venerare l’icona, grazie anche all’indizione di una novena di preghiera da parte della sovrana.

Alcuni giorni dopo il furto, il 15 agosto 1673, il Duca Carlo Emanuele incaricò il suo cappellano privato con il cappellano di Madama Reale di riportare il Trittico a Susa e consegnarlo al governatore della Città, il quale a sua volta lo avrebbe restituito al curato di San Paolo, don Stefano Vayr. La restituzione avvenne effettivamente il giorno dopo, 16 agosto, alla presenza del governatore e di numerosi altri testimoni e fu sancita da un atto notarile.

Il Trittico prima del 1673 era regolarmente conservato sulla vetta del Rocciamelone e solo in qualche rara occasione era riportato a valle. A conferma dei fatti vengono anche le memorie inerenti le visite pastorali condotte presso la Chiesa parrocchiale di San Paolo di Susa, al cui parroco era affidata al cura del Trittico. Sia quella del 1612 che quella del 1643, infatti, non registrano all’interno della chiesa la presenza di quest’ultimo. La situazione appare diversa nel 1702. In quell’anno si stava provvedendo a riedificare la chiesa e all’interno del nuovo edificio era prevista la presenza di due altari laterali; di essi uno doveva essere dedicato alla Madonna del Rocciamelone e doveva contenere il Trittico che in quel periodo era custodito temporaneamente presso la chiesa abbaziale di San Giusto.

Il 10 maggio 1728 l’Abate Vittorio Amedeo Biandrate di San Giorgio visitando la chiesa vide nella sacrestia, il Trittico del Rocciamelone, e seppe che era tradizione che venisse portato dal 5 al 24 agosto presso la cappella sulla cima del monte e lasciato alla pubblica venerazione con grande afflusso di fedeli.

Proprio in considerazione della grande devozione attirata dalla sacra immagine, l’abate diede ordine di non portare più il Trittico sulla vetta nei giorni della festa, ma di collocarlo in una nicchia che il curato di San Paolo avrebbe dovuto far costruire nella cappella dedicata alla Madonna del Rocciamelone. Tale disposizione fu però disattesa poiché ancora nel 1751, in occasione della propria visita pastorale alla chiesa abbaziale di San Giusto, dove l’icona era stata trasferita a causa della soppressione di quella di San Paolo, l’Abate Pietro Caissotti di Chiusano registrava che il Trittico, posto sopra l’altare delle reliquie, veniva portato sulla vetta del Rocciamelone il cinque agosto di ogni anno e lì veniva lasciato esposto alla pubblica venerazione per quindici giorni consecutivi. Segno, questo, di una devozione fortemente radicata verso l’antica icona e del forte legame della popolazione, non solo locale, con una pratica di fede che affondava le proprie radici lontano nei secoli e che ancora oggi si tramanda.

Il Trittico

Il Trittico rimase nella Cattedrale di San Giusto a Susa (Altare delle Reliquie) fino all’anno 2000 quando venne collocato nel Museo Diocesano di Arte Sacra della città situato nella chiesa della Madonna del Ponte. Esso si compone di tre parti, le due lastre laterali, incernierate, possono chiudersi come sportelli, proteggere l’interno decorato e rendere più comodo il trasporto. La tavola centrale raffigura la Vergine Madre seduta su ampio trono a cassapanca, col capo cinto da un’alta corona regale e in atto di sostenere con le braccia il Bambino Gesù; questi guarda verso la Madre, cui accarezza il mento con la manina destra, mentre con la sinistra regge una piccola sfera che simboleggia il mondo. Madre e Figlio hanno il capo circondato dall’aureola. Nell’anta collocata a sinistra di chi guarda si vede S. Giorgio a cavallo avvolto in un’armatura a maglie metalliche, la visiera dell’elmo calata sugli occhi, che con una lunga lancia trafigge nella gola il drago infernale che, riverso, è calpestato da uno zoccolo del cavallo. Sull’anta di destra sta ritto un santo barbuto, coi capelli scarmigliati e con aureola, probabilmente S. Giovanni Battista, Patrono dei Cavalieri detti anticamente di Gerusalemme, che presenta alla Madonna, ponendogli le mani sulle spalle, un guerriero inginocchiato, con le mani giunte in atto di supplica.

Gianni Cordola

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