Da un cassetto spunta un fazzoletto di stoffa e non posso non tornare indietro nel tempo quando, ancora bambino, il fazzoletto era un oggetto importante nella mia quotidianità: fazzoletti a righe. a quadretti o più comunemente bianchi. Un oggetto apparentemente insignificante, ma di grande utilità che ha accompagnato la vita di ogni persona, donne e uomini , ragazze e ragazzi, bambine e bambini.
Un tempo i fazzoletti trovavano un largo impiego. C’erano quelli per il naso usati sia dagli uomini che dalle donne, c’erano quelli da collo, da taschino e quelli per proteggere la testa. Il fazzoletto è stato nelle mie tasche anche in alcune fasi particolari della mia vita: durante l’adolescenza, quando serviva per asciugare le lacrime che cadevano per una delusione, per un insuccesso scolastico o per sentimenti più intimi.
Il fazzoletto da naso, una volta usato, veniva lavato, stirato e reimpiegato. Gli usi che se ne facevano erano diversi. Oltre a soffiarsi il naso, veniva impiegato per asciugare il sudore dalla fronte, pulirsi la bocca a tavola e anche per pulire gli occhiali.
In epoca più recente lo vediamo impiegato nel taschino della giacca da uomo per dare un tocco di classe al look, ed ha ancora la funzione simbolica, oltre che pratica, di poter offrire il suo fazzoletto pulito, in caso di bisogno, ad un’altra persona come da vero gentleman, sia da porgere alla sua donna se si commuove vedendo un film oppure se si sporca il vestito bevendo una bibita, è il gesto che conta.
I contadini ne indossavano una versione più grande e colorata, sotto la camicia, attorno al collo, o legato attorno alla fronte per raccogliere il sudore e trattenere la polvere. In caso di ferite durante il lavoro, il fazzoletto veniva usato anche come tampone di emergenza o legaccio emostatico per arrestare l’uscita del sangue.
Mia mamma riponeva il fazzoletto nella tasca del grembiule o più frequentemente in una manica del vestito. Oltre ad asciugare il sudore aveva il compito di asciugare le lacrime e pulire la bocca ai bambini, oppure detergere abrasioni della loro pelle. Erano usati anche come pro memoria o porta chiavi. Bastava fargli un nodo ad un angolo, per ricordare un’azione da compiere. Perdere il fazzoletto portava sfortuna.
Altra cosa era il fazzoletto da testa che le nonne hanno portato fino a tutti gli anni 50 del secolo scorso. Il colore era solitamente scuro che diveniva nero in periodi di lutto. Le più giovani portavano fazzoletti di colore chiaro e alla moda. A volte legato dietro alla nuca, per trattenere i capelli e lasciare più libero il viso. Aveva anche una funzione protettiva dai rigori invernali. Una versione più grande del fazzoletto da testa era sempre a disposizione delle contadine e veniva impiegato come sacca per raccogliere in modo spiccio cibarie, frutta, erba per i conigli, foglie, o pannocchie di frumento appena raccolte e da trasportate a casa. Contadini e muratori lo usavano annodato ai quattro angoli intorno alla testa come protezione del viso dai raggi del sole e/o dalla polvere durante la trebbiatura nell’aia e nello svolgimento dei lavori all’aperto.
Il fazzoletto, specialmente quello ricamato, faceva parte, nel passato, del corredo della sposa, una serie di sei fazzoletti veniva regalato per un compleanno o un onomastico alle giovani da marito , non prima però di essersi fatte consegnare una moneta; si credeva infatti che regalare fazzoletti portasse male a chi li riceveva perché costei avrebbe presto versato lacrime e allora la moneta serviva per “pagare” il regalo che così non era più un regalo.
Vecchie credenze e vecchie usanze che però avevano e avrebbero un certo fascino se ancora fossero di moda . Oggi non è più così, fazzoletti in tessuto, che hanno accompagnato anche i primi anni dei nostri figli, sono stati sostituiti dai fazzolettini di carta, sicuramente più pratici e igienici, ma oserei dire, meno “poetici” di quelli in tessuto, molti dei quali sono legati a momenti significativi della nostra vita.
I fazzoletti hanno accolto i nostri turbamenti, emozioni ed i moti del nostro animo e se essi potessero raccontare, tante e tante altre sarebbero le narrazioni che ognuno di noi ascolterebbe anche per farne tesoro.
Gianni Cordola