Significato di “Tòta”

(I termini racchiusi da virgolette alte doppie ed in corsivo sono in lingua piemontese)

“Cerea tòta”, un saluto carino e galante nella lingua piemontese, poco usato oggi ma molto in voga sino agli anni 50 del secolo scorso. “Cerea”, è usato e abusato nelle scenette comiche, ma è un saluto formale usato quando ci si dà del lei. Purtroppo non si usa quasi più. Deriva da un’antica parola che significava «vostra signoria». “Tòta” invece vuol dire signorina giovane o vecchia che sia.

Saluto piemontese

Saluto piemontese

Che origine ha “tòta”? In alcune parti del Piemonte, particolarmente nelle Langhe, si chiama “matòt” il bambino e “matòta” la bambina, nell’Astigiano i termini si sono cambiati in “mat” e “mata”. A Torino ed in bassa valle di Susa “matòt” non si usa e “matòta” perdendo la prima sillaba è diventato “tòta” e si applica non più alla bambina ma alla ragazza già fatta. Nell’Alessandrino i piccoli vengono chiamati “matòt e matòte” e le ragazza “tòte”. Pertanto sembra che il termine “tòta” non sia altro che “matòta” con perdita, per aferesi, della prima sillaba, come Pina è venuta da Giuseppina.

Tante sono le tesi sull’origine dei termini “matòt e matòta”, una di queste li fa derivare dal latino «mas» (maschio o figlio maschio) diventato “mat” ragazzo e per analogia “mata” ragazza. Da qui i vezzeggiativi “matòt e matòta”. Un’altra tesi più suggestiva fa derivare il termine “matòta” da una pratica del culto pagano osservata fino al V° secolo dalle popolazioni locali. «Mathuta» era una dea conosciuta dalle tribù alpine abitanti nel Piemonte, la sua festa si celebrava nella notte più vicina al plenilunio. In una radura delle fanciulle eseguivano una danza rituale accompagnandosi col canto ed il suono dei loro rozzi strumenti. Le giovani danzanti venivano chiamate «matute» e diventò di uso comune indicare con quel nome tutte le persone di quell’età e quel sesso. Questo avrebbe dato origine alla parola “matòta” e poi alla più breve “tòta”. Secondo alcuni studiosi questo rituale è giunto a noi con alcune tradizioni carnevalesche. In talune zone gruppi di giovani realizzano un fantoccio vestito di stracci multicolori e distesolo sopra un lenzuolo lo portano in giro per le case con canti e suoni. Entrati in una casa lo posano in mezzo alla stanza e gli ballano attorno una danza speciale. Questo fantoccio è chiamato “matotin”.

Una volta esisteva in Piemonte come dappertutto, la famiglia patriarcale. La bambina era chiamata “matòta”, appena cresciutella diventava “tòta” e rimaneva tale finché non si sposava. Sposandosi andava ad abitare con la famiglia del marito (questo succedeva nelle campagne e nelle montagne, ma non era improbabile anche in città); veniva identificata con il cognome del marito, e di conseguenza lo stesso cognome della suocera. Quest’ultima, la padrona di casa, era “madama”, per cui la nuova venuta in sub-ordine era “madamin”. Dopo una certa età la “tòta” se non si sposava, veniva magari chiamata ironicamente “toton” (non in sua presenza logicamente). Concludendo la “Madama” è una signora sposata matura, la “Madamin” è una signora sposata giovane. Il criterio di distinzione tra “madama e madamin” è il fatto se la signora in questione abbia ancora la suocera o no. Se la suocera della vostra interlocutrice ha già tirato le cuoia, allora è “madama”, altrimenti è “madamin”.

Gian dij Cordòla (scrit ant ël 2014)

 

 

 

 

 

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