Il rifugio antiaereo di Condove

La seconda guerra mondiale sconvolse parecchio la vita civile dell’intera popolazione e una delle ovvie conseguenze della guerra, è stata la costruzione di rifugi antiaerei, per proteggersi dalle bombe. A Torino furono costruiti diversi rifugi antiaerei: alcuni più organizzati, efficienti, progettati con più cura; altri, più rudimentali, con un unico scopo: permettere agli occupanti di rivedere la luce del sole.

Anche a Condove furono prese varie misure per difendere lo stabilimento Officine Moncenisio ed il paese da eventuali attacchi aerei. Nei dintorni del paese furono dislocate postazioni di contraerea; nel muro di cinta dello stabilimento vennero aperti passaggi per favorire la sua rapida evacuazione; vennero date disposizioni per l’oscuramento, cui tutti i cittadini dovevano adeguarsi, la sera non si dovevano lasciare filtrare luci dalle porte o dalle finestre delle abitazioni.

Sotto la collina della Mura nell’attuale via Conte Verde fu realizzato nei primi anni 40, da Fortunato Bauchiero proprietario delle Officine Moncenisio, un rifugio in galleria per offrire riparo agli operai e agli abitanti del paese. Il rifugio venne costruito con perforazioni ed esplosione delle mine e di altre cariche esplosive, ed il materiale di scavo venne portato alla cava di Caprie tramite dei carrelli che viaggiavano a spinta su binari a scartamento ridotto lungo la via. Il rifugio con doppio ingresso era costituito da una galleria a ferro di cavallo e dotato di panchine, gruppo autogeno per la luce, acqua, aerazione con ventole, sala infermeria e antincendio.

Interno rifugio antiaereo di Condove

Nel frattempo alla Moncenisio, per lavorare anche di notte, tutte le vetrate dell’officina furono dipinte con vernice blu, che di giorno consentiva alla luce di entrare ed evitava che di notte le lampade fossero visibili dall’esterno. Fu vietato I’uso della sirena per chiamare gli operai al lavoro: il suo fischio doveva servire soltanto per segnalare allarmi aerei, sia di giorno che di notte.

Gli aerei Alleati, partiti dalle basi inglesi viaggiavano attraverso la Francia e sopra le Alpi per bombardare le installazioni industriali di Torino e del Piemonte; come entravano nello spazio aereo italiano, il messaggio di allarme era immediatamente comunicato a tutti i paesi e città interessate, e a Condove la sirena della Moncenisio avvertiva la popolazione del pericolo imminente. Motivo di angoscia furono certamente gli allarmi molto più numerosi delle incursioni. Il lugubre suono della sirena finiva per logorare i nervi dei Condovesi. Se poi all’allarme faceva seguito anche il bombardamento, alla paura si sommava l’angoscia per ciò che si sarebbe visto usciti dal rifugio; gli aerei della RAF scagliavano bombe dirompenti e spezzoni incendiari.

Quando suonava la sirena tutti al rifugio. Arrivavano per primi gli operai della Moncenisio attraverso le uscite sul retro, poi quelli del “villaggio Mussolini” (le villette), della piazza, i bambini della scuola e via via tutti quanti. Dalle Fucine e dai Fiori gli abitanti erano soliti utilizzare la balma del “Ròch dël diav” come riparo durante i bombardamenti. All’interno del rifugio gli uomini scambiavano poche parole, alcune donne pregavano, i bambini vivevano quelle ore concitate come un’avventura. Anche il Cav. Bauchiero, ferito da una scheggia nel bombardamento del 2 marzo 1945, attese i soccorsi in questo luogo (morirà in seguito alle ferite riportate il 31 marzo 1945). Particolarmente cruento fu questo raid degli alleati, andarono distrutti il reparto meccanica e quello fonderia delle Officine Moncenisio. Colpita anche la centrale elettrica e le casermette dove alloggiavano i tedeschi con due morti e vari feriti gravemente. Distrutta anche una casa in paese, la villa Col causando la morte tra le macerie di Stefano Marra.

A scuola insegnavano ai ragazzini a buttarsi a terra in prati e fossi, pancia in giù, rialzati sui gomiti per evitare lo spostamento d’aria causato dalle esplosioni, mentre con le dita si tappavano le orecchie. L’insegnante insisteva nel ripetere come, a ogni allarme, sia che fossimo a casa, sia che ci trovassimo a scuola, occorreva raggiungere il rifugio rapidamente ma con ordine.

Finita la guerra, l’ampia galleria rimase vuota: nel 1963 fu acquistata all’asta da un imprenditore per iniziare una coltivazione di funghi Champignon protrattasi per qualche decennio.

Gianni Cordola