Anche sulle montagne della Val di Susa, come sulle altre catene di monti, in mezzo agli ultimi baluardi, fra i quali durano più a lungo le leggende, si credette generalmente, e credesi ancora in qualche borgata, nell’esistenza di spiriti che prendono parte ai lavori ed alla vita dei montanari.
I miei vecchi tramandavano la storia di una misteriosa luce che, in tempi lontani, forse secoli o forse decenni prima, seguiva le persone di notte nelle strade di campagna buie e solitarie, la chiamavano in Piemontese “ël Culèiss” (fuoco fatuo) o anche “Culèss ò Culass”.
Tutti i viandanti asserivano di averla vista almeno una volta all’imbrunire e di essere ancora segnati dall’esperienza. La rappresentavano come una palla luminosa rotonda, non tanto grande, simile a una grossa zucca, aveva una luce pallida e bluastra, qualcuno dice che sembrava un occhio, altri la descrivevano come un grosso sedere¹, non si capiva bene.
Dava la sensazione di galleggiare nell’aria a poca altezza dal terreno, andava lenta dietro ai montanari che al tramonto rientravano a casa dal lavoro dei campi. Non si avvicinava mai, stava sempre alla stessa distanza, se uno si fermava, anche la luce si fermava.
E la cosa strana è che nessuno ne aveva paura anzi si sentivano rassicurati pur avendone un certo timore, guai a cercare di prenderla. Per ringraziarla della compagnia e farla andare via bisognava lasciare qualcosa per terra, un’offerta, come una mela, un pezzetto di pane, ecc. qualcosa, allora la luce spariva e non seguiva più le persone.
Secondo vecchie leggende, questi spiriti erano angeli cacciati dal paradiso e non accolti nell’inferno, i quali vagano incerti sul loro futuro destino o potevano essere interpretati come la manifestazione degli spiriti dei morti che vegliano sui viandanti, in particolare anime di defunti recenti, che si aggirano sulla terra in attesa di entrare nell’aldilà, o anime dannate o del Purgatorio, oppure di bambini morti senza essere battezzati.
Le leggende sul “Culèiss” sono moltissime. Nell’antichità si ritenevano la dimostrazione dell’esistenza dell’anima. Alcune popolazioni nordiche invece credevano che seguendoli si trovasse il proprio destino.
Per alcuni studiosi, i fuochi fatui, nonostante la loro apparente connessione con il mistero e le innumerevoli leggende delle quali sin dall’antichità sono stati protagonisti, sarebbero un fenomeno scientifico facilmente esplicabile: queste inquietanti fiammelle che fluttuano improvvisamente davanti ai nostri occhi sarebbero prodotte dai gas emessi da materie organiche durante la loro decomposizione. Queste emanazioni sono composte da idrogeno e fosforo, che si infiammano spontaneamente non appena entrano in contatto con l’ossigeno dell’aria.
Un tempo, quando i corpi non venivano sigillati nelle bare di zinco, era possibile osservare questo fenomeno nei cimiteri. Si verifica però anche dove è stato sotterrato un animale e nei terreni umidi ricchi di sostanze organiche come acquitrini e torbiere. Il periodo migliore per osservarli pare essere nelle calde sere d’agosto.
Altre teorie, suffragate dalle parole di molti testimoni che descrivono il fuoco fatuo come una luce fredda, sostengono la tesi della chemiluminescenza della fosfina e non della combustione.
Gianni Cordola
¹ – Da questa somiglianza probabilmente deriva il termine Culèiss che secondo il Repertorio Etimologico Piemontese di Anna Cornagliotti edito nel 2015 è formata dal latino “CULUM” (culo) più “ACEUM”.