La corsa delle fate al Monte Civrari

Le leggende sono un prezioso ricordo nella coscienza popolare e conservano nella loro semplicità il segreto del passato. Oggi gli anziani montanari non si piegano facilmente a narrarle ai curiosi, però se sono certi di non essere derisi ripetono le novelle che i nonni raccontavano d’inverno ai ragazzi nelle stalle.

Ho visto qualche volta mia mamma Giuseppina Pautasso commuoversi nel ricordare le fiabe che era avvezza a sentire fin dall’infanzia. Forse in un baleno tornava col pensiero nei giorni lontani; rivedeva come in un sogno la stalla angusta e nera, ove stavano raccolti vicino alle mucche, quando il vento sibilava tra le case di Pratobotrile (borgata di Condove), ed i vecchi dalle facce serene, seduti accanto ai figli, parlavano delle leggende che si raccontano da secoli mentre i fanciulli guardavano con inquietudine nell’ombra, ove forse stavano nascosti i folletti. In una di quelle serate invernali del primo novecento il nonno Battista (1879/1958) narrò ai suoi figli Giuseppina, Gasperina ed Antonio con una efficacia insuperabile una delle leggende più popolari, ed era quella che ricorda la corsa delle fate sul Monte Civrari, fra la valle di Susa e quella di Viù.

In ogni leggenda la fata è la creatura magica che a fatica si riesce a intravedere con gli occhi di un essere umano. Possiamo immaginarla con le sue ali delicate, le sembianze di una dolce fanciulla e una bellezza particolare, donata dall’universo magico a cui appartiene. Secondo la credenza popolare, le fate vivono nascoste durante il giorno perché prive di poteri magici, che riacquistano invece di notte. La notte è infatti il momento della giornata in cui le fate escono più volentieri ed hanno predominio sul mondo (soprattutto con la luna piena). È per questo che molte di loro sono circondate da una luce: perché essa permette di illuminare il loro cammino nell’oscurità.

La fata nella credenza popolare

Con la voce espressiva e lo sguardo scintillante il nonno ripeté ciò che gli narrarono gli avi. Si dice che una volta, forse secoli o forse decenni prima, un vecchio pastore che passava tutta l’estate in un alpeggio del Collombardo, in una casetta scura dove la sera ritirava il bestiame, alla notte mentre la nebbia passava rapidamente nelle montagne spinta dal vento che flagellava le rocce, coprendo la voce monotona del vicino ruscello, fra il chiarore della luna, egli, spaventato da un rumore di ruote e di sonagli, era uscito dalla povera casa, ed aveva visto passare la splendida e meravigliosa corsa delle fate colle corone di stelle alpine, ritte sui carri di fuoco, in uno splendore di luce, seguite dai folletti nella corsa vertiginosa sulle creste, i colli e le altissime cime scomparendo infine nel monte Civrari.

La corsa delle fate sul monte Civrari

La scena rimase talmente impressa al pastore che decise di passare nei giorni successivi nel luogo dove scomparve il corteo non trovando traccia delle fate ma solo delle stelle alpine. Il paesaggio era tristissimo nella sua imponenza, solo pascoli e rocce nella solitudine dove non giungeva altro suono di voce umana, dove moriva ogni ricordo della vita di fondovalle ma il pastore tornato al paese a fine estate descrisse con la parola come ispirata il giro percorso dalle fate, seguendo con lo sguardo le creste, le cime delle montagne, le curve dei colli lontani, e forse colla fantasia accesa le vedeva passare in quell’istante, fra lo splendore del sole e lo scintillio dei nevai.

Ora noi possiamo sorridere pensando a questa credenza degli alpigiani, ma per intendere tutta la grandiosa poesia del racconto che venne fatto dal nonno, bisognava trovarsi fra i pericoli della montagna, verso i 2000 metri d’altezza; e mentre sentivo la mamma ripetere le parole del nonno, anche a me sembrava di veder passare le fate. Da allora per gli alpigiani della valle di Susa il Civrari è il monte fatato in contrapposizione al monte Musiné ad inizio valle, che è il monte delle entità malefiche, streghe e demoni.

Questa credenza della corsa notturna delle fate sulle nostre Alpi Graie, non si deve confondere col sabba delle masche o streghe, trova invece molta relazione con altre credenze che durano ancora su tutta la catena delle Alpi da ovest ad est, dove varia solo il periodo temporale in cui avviene: inizio anno, ultima notte di carnevale o la notte di San Giovanni.

Gianni Cordola

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