Rimuginando ad ogni domanda, il Condovese estrae tanti bei ricordi, eppure sembra non riconoscere più il suo paese che rievoca con una punta di malinconia: “E’ tanto che non vivo più a Condove ma spesso torno per venire a trovare i miei fratelli e ogni volta mi viene il magone”. Ad esempio l’ultima volta che sono venuto mi è sembrato un paese spento, non c’era nessuno a passeggio in piazza di pomeriggio.
La memoria e la nostalgia scorrono sul web. Sulla pagina Facebook di “Sei di Condove se…” gli iscritti rievocano ricordi del paese, legati della loro infanzia, riportano episodi e personaggi che hanno accompagnato la loro vita di tutti i giorni. Se alle origini questa, come altre pagine legate ai paesi, aveva come principale mission la testimonianza di una memoria condivisa, e l’affermazione del senso di appartenenza ad una comunità, ora, si è costruito un fitto mosaico di racconti ed immagini, flash che passano da una generazione all’altra, compongono quadri di una storia più o meno recente che va dagli anni del dopoguerra agli anni Sessanta e Settanta, fino a periodi più recenti.
Un paese in gran parte scomparso ma vivo e presente nei ricordi di ognuno. Ho vissuto questi tempi e quelli precedenti degli anni 50 del secolo scorso. Ci divertivamo con niente e ci inventavamo i giochi. Ma non mancavano divisioni di classe e di quartiere, liti e maldicenze, fatiche e povertà. Ma ricordare l’infanzia è sempre bello e ognuno la ricorda come sa o immagina di averla vissuta.
Quando ero bambino nella contrada dei Fiori in cui abitavo giocavamo a nascondino, alla trottola o con le biglie. Facevamo andare le barchette di legno nelle bealere vicino alla Cartoncina e non ci siamo mai fatti male. Il viale Bauchiero e la piazza alla sera erano piene di persone sulle panchine e per la strada. I bar erano vivi e brulicanti di persone di ogni età.
L’estate si andava a fare i bagni lungo il torrente Gravio. E la “spiaggia” erano i castagneti nelle immediate vicinanze della centrale idroelettrica delle Officine Moncenisio, meta prediletta di tutti i giovani Condovesi. Le splendide piscine naturali lungo il corso d’acqua cristallina erano da sempre il ritrovo estivo di gente della zona nelle giornate calde e soleggiate. Ma i tempi di magra hanno trasformato il Gravio nella meta preferita anche di bagnanti disposti a spostarsi in auto nei fine settimana, pur di rinfrescarsi nelle caratteristiche “gheuje” o “gorge”, le pozze scavate dall’acqua smeraldo fra le rocce levigate, giocare sotto le piccole cascate e stendersi al sole. Si mettevano pietre con rami e frasche per arginare al meglio il corso dell’acqua e formare delle caratteristiche pozze.
Gli adulti se esperti nuotatori facevano il bagno nel bacino di raccolta delle acque di scarico della centrale idroelettrica tuffandosi da un trampolino oppure dalle rocce sovrastanti il bacino.
Una volta non esistevano solo i festeggiamenti del Santo Patrono o le fiere agricole ma si cercava di prolungare questo senso di “condovesità” che veniva coltivata durante tutto l’anno con spettacoli e tanti appuntamenti. Mi vengono in mente bellissime serate alla bocciofila o alla Festa dell’Unità, il bello di Condove era quello di essere un paese dove tutti conoscevano tutti. Oggi in molte realtà non ci si conosce nemmeno fra residenti sullo stesso pianerottolo, perdendo così incredibili occasioni di collaborazione e di crescita. Sprechiamo quella condizione che ci ha chiamati a vivere lo stesso tempo nello stesso luogo.
Direi che più di ogni altra cosa sono andati perduti i personaggi, quelli che aggregavano e che erano immediatamente riconoscibili: c’era Suppo Alfredo già membro del CLN e instancabile nella dedizione al paese, Argentino Rodolfo animatore di A.C., Don Viglongo Giuseppe sempre presente in mezzo ai giovani, Croce Achille del gruppo “non violenza”, Giuseppe Arrigoni insegnante ed artista, la maestra Livia Pettigiani attiva nell’Azione Cattolica, Elisio Croce attivo nel volontariato sociale, scrittore e futuro sindaco di Villardora, Pesce Giovanni capo gruppo alpini di Condove, Caccialupi Giuseppe il mago delle biciclette, Peretti Ettore coi cavalli sempre allegro e pronto alla battuta, Franco il barbiere, Argentino Giovanni della cartoleria, Listello Secondino impegnato nel gruppo dei coltivatori diretti, Tota Alessi, Bellando Lina sempre disponibile verso il prossimo già dagli anni della guerra, Alda Rocci Martin poetessa contadina. Poi Alterant che gestiva l’osteria dei Fiori all’inizio di via don Pettigiani di fronte alla villa dei Matteoda, che era sinonimo del vino e del bere ma che alla domenica sera rimaneva aperto fino a tardi ed era facile incontrarvi il poeta pittore Alexis ben disposto a intrattenersi a parlare della sua arte e a filosofare sui grandi problemi del vivere. Sicuramente ci sono altre persone meritevoli di citazione ma queste sono quelle che io ho avuto il piacere di conoscere.
Anche Condove come ogni paese aveva i suoi personaggi strani e originali ma simpatici, uno di questi era sicuramente Giuseppe “ël Cribo” il quale girava in lungo e in largo per l’abitato, percorreva chilometri, incontrava tanta gente, sorrideva a destra e a manca e parlava con tutti. Non mancavano le macchiette come Gioanin Tup. Di ciascun personaggio si sarebbe potuto dire sicuramente molto di più, ma penso che poche parole siano più che sufficienti a rievocarne la memoria. Tutti quanti assieme ad altri non citati ma ugualmente importanti erano punti di riferimento nel paese e adesso che diversi non ci sono più è come se ognuno vivesse per conto suo.
In quegli anni nessuno si immaginava di richiamare il vicino perché segava la legna al mattino o alle otto di sera. Al massimo ti chiedevano se avevi bisogno di aiuto. La sirena della Moncenisio rendeva tutti uguali: capi operai e impiegati dovevano tornare in fabbrica. La gente non era isterica le ragazzate erano considerate ragazzate e mai giudicate. Ho passato una gioventù stupenda in un bel paese che forse non c è più.
Chiudo questa riflessione con una frase ripetuta spesse volte da mia madre: Lascia il tuo paese, ma non lasciare che il tuo paese ti lasci.
Gianni Cordola (scritto nel 2018)