Le cantine di una volta nella montagna Condovese

Le cantine, così si chiamavano nelle borgate Condovesi quelle che oggi sono osterie o vinerie, luoghi dove sino agli anni 50/60 del secolo scorso si poteva degustare un buon bicchiere di vino. Perché sono quasi scomparse? Il motivo principale è sicuramente lo spopolamento della montagna e secondariamente il modo di vivere che cambia e, con esso, cambiano i modi di concepire la vita e le abitudini che la caratterizzano. Le antiche cantine praticamente non ci sono più ed è comprensibile rimpiangerle, considerato che esse costituivano un elemento autentico e vitale nella vita sociale e culturale della montagna, in cui esse avevano una loro clientela fissa e affezionata.

Le cantine di un tempo erano un po’ tutte uguali e con la stessa atmosfera: una sala con il bancone, una piccola cucina, e, solitamente, l’insegna dipinta sul muro sopra la porta, uno spiazzo per giocare a bocce davanti o di fianco alla casa e in qualche caso l’ombra di un pergolato d’uva . Da sempre il luogo preferito di bevitori, giocatori di carte, contadini e mediatori… le donne, invece, vi entravano solo per recuperare il marito: Cioch coma n’aso… Un posto che nel mezzodì si trasformava in sala da pranzo, dove, con le dovute fatiche degli osti, si costringeva gli abituali avventori a riconsegnare le carte da briscola, tracannare il bicchiere di rosso e far posto a chi voleva mangiare qualcosa. Il menù era sempre uguale: minestra, polenta con spezzatino, pane, toma, salame e acciughe al verde. Ad ascoltare alcuni anziani c’è da non crederci, talmente lontani dall’oggi che sembrano testimonianze risalenti al medioevo. La vitalità di un’osteria era ben rappresentata, oltre che dai vini rossi, dal fumo. La gran parte degli avventori fumava: sigari, pipe e sigarette, tutte senza filtro e arrotolate a mano, con tabacco e cartine conservate in una piccola scatola.

Ogni mercoledì al sorgere del sole una moltitudine di persone scendeva dalla montagna a piedi o con asini e muli a vendere i loro prodotti sotto l’ala del mercato di Condove. Conclusi i loro piccoli commerci, con parte del ricavato, si rifornivano di quanto loro occorreva per tutta la settimana nelle botteghe o da altri commercianti. Questa frenetica attività terminava generalmente verso mezzogiorno quando il montanaro sistemate le provviste sul dorso dell’asino si avviava sulla strada del ritorno alla borgata. Il percorso per la montagna, li portava a passare davanti l’osteria e tanti non si trattenevano dal fare una sosta che nelle intenzioni doveva essere breve. L’osteria diventava allora il luogo di incontro dove, fino al primo pomeriggio, ci si divertiva con chiacchiere, canti e giochi, conditi da generose libagioni. Le tappe di ritorno dal mercato per i montanari erano diverse a seconda se andavano nella valle del Gravio od in quella del Sessi.

A metà del secolo scorso tante erano le cantine disseminate nella montagna Condovese, nelle vie di transito o nelle borgate: la prima tappa per i montanari che rientravano alle borgate era l’Osteria dei Fiori (l’òsto dij Fiori prima di Ferraris e poi di Alterant) in via Don Pettigiani a Condove, proseguendo la “trassa ‘d Batista” ai Giagli, La “cantin-a ‘d Gildo” ovvero l’osteria Pettigiani a Laietto, la “cantin-a ‘d Mento e Luigina ovvero locanda Belvedere sempre a Laietto, (a Laietto nei primi anni del novecento c’era anche la cantina del Sole), la “cantin-a dl’aria” dei Rocci a Mocchie, la cantina del Sole dei Vinassa sempre a Mocchie, l’osteria di Frassinere, la Cantina Airassa di Giovanni nella borgata Airassa, la Trattoria dei Fiori di Firmino e Cesarina a Grange e poi dal 1969 a Prarotto, la Cantina dei Calzolai di Vair a Maffiotto (in parte distrutta dal fuoco a causa di un fulmine sul finire degli anni 30 del secolo scorso).

A Condove c’erano molte altre osterie, ma quella di riferimento per i montanari come già detto era l’osteria dei Fiori, dove i muli appena arrivati si abbeveravano alla fontana di fronte, riposavano, legati agli appositi anelli infissi nel muro, ancora bardati, con qualche manciata di biada in un sacco di tela appeso sotto al muso o più spesso semplicemente con un mucchio di fieno a disposizione per terra e aspettavano pazientemente, sonnacchiosi, il ritorno del padrone, difendendosi dalle mosche con i movimenti della coda, con lo scuotimento della testa e con qualche zampata a vuoto. Qualche volta i famigliari al calar della sera non vedendo tornare chi era sceso al mercato scendevano per la mulattiera a cercare il ritardatario appisolatosi magari sotto un albero.

I banchi per la mescita del vino erano dunque numerosi in paese e i vinai avevano il loro bel da fare; del resto è antichissima la coltivazione della vite nella valle del Gravio che ai primi del 1900 si spingeva fino ai 1.100 metri di altitudine, soprattutto nella varietà rustica del vitigno Becuèt, ma anche Avanà, Carcheirun o Carcairone, Grisa, Barbera e il bianco Baratuciat. I vigneti erano in particolare nella fascia ben esposta della Villa di Mocchie, Gazzina, Bertolere, Borlera, Bonaudi, Pralesio, Giagli, Vigne e sotto Frassinere, in località Roceja dove si trovavano le vigne che traevano vantaggio dalla buona esposizione e dall’azione riscaldante delle rocce che riflettono i caldi raggi solari.

Oggi purtroppo la maggior parte di quelle cantine è scomparsa, altre hanno subito cambiamenti come l’osteria dei Fiori di Condove diventata La Cicala e la cantina del sole di Mocchie trasferitasi anni fa nel fabbricato che negli anni 40 era la sede del gruppo rionale del Fascio, ma è stata anche aperta una nuova osteria a Pratobotrile: la trattoria dei prati.

Gianni Cordola

L’osteria dei Fiori a Condove
Osteria dei Giagli nel 1940
La cantina del sole a Laietto nel 1914
L’osteria Pettigiani a Laietto
La locanda Belvedere a Laietto
Cantina dell’aria a Mocchie
L’osteria di Frassinere
La cantina di Airassa
La cantina dei calzolai a Maffiotto
Osteria dei fiori a Grange
Nuova osteria dei fiori a Prarotto dal 1969
Caraffe per vino con misura bollata

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