UNA BORGATA E LA SUA VITA NELLA STORIA D’UNA FAMIGLIA D’ALTRI TEMPI DELLA MONTAGNA CONDOVESE
“I CORDOLA DEL COINDO”
Il protagonista di questa storia è la famiglia. Una famiglia di montanari, patriarcali come si usava un tempo, in cui il legame forte passa attraverso gli uomini che con la loro forza fisica assicurano la sopravvivenza di tutti, in un mondo comunque duro.
Siamo all’inizio del 1800 nel territorio dell’allora Comune di Mocchie nella montagna della bassa Valle di Susa e precisamente al Coindo, piccola frazione posta sulla destra orografica del Torrente Sessi a circa 800 m. s.l.m.
Le case d’abitazione sono, in generale, povere casupole di pietra intonacata parzialmente soltanto all’interno e troppo vicine alle stalle ed alle concimaie, la luce arriva dai lumi a petrolio e l’acqua si prende alla vicina sorgente. Quasi tutte le case sono state costruite dagli stessi montanari, poiché essi esercitano per necessità tutti i mestieri ed in particolare l’arte del muro a secco; ma quale difficoltà devono incontrare per costruirsele. La pietra è l’unica cosa che trovano facilmente, ma tutto il resto, i laterizi, il cemento, la calce e perfino la stessa sabbia, debbono portarla dal piano o dal torrente alle proprie spalle.
Non esistono strade carrozzabili e l’unico accesso è dalla mulattiera che partendo da Condove attraverso la casaforte della Torretta prosegue verso le borgate Bodrola e Breri, le supera e continua fino al pilone di Combaleri, dove la mulattiera si divide in due direzioni, a sinistra verso Sigliodo Superiore, a destra con percorso pianeggiante verso Sigliodo Inferiore. S’imbocca quest’ultima che porta anche verso Laietto, e dopo un breve tratto nelle vicinanze di un pilone dedicato alla Madonna della Consolata, sulla destra si trova la discesa per il Coindo.
Qui ci stava la famiglia Cordola, anzi sarebbe bene dire le famiglie, perché all’epoca la frazione era abitata da almeno sei o sette famiglie Cordola e poche altre, ma è così evidente il senso d’unità e coralità che viene in mente di pensare ad un unico organismo che viveva, operava, cresceva nella montagna. L’economia del Coindo era agro-pastorale, produceva latticini, castagne, patate, prodotti che si portavano al mercato settimanale del mercoledì a Condove trasportandoli a spalle nella gerla oppure, per chi ne disponeva, a dorso d’asino o di mulo. Occupazione collaterale era la coltivazione del prato che comportava l’irrigazione, la concimazione, la fienagione, e poi la cura del ceduo con la preparazione degli innumerevoli attrezzi per trattare il legno: abbattere, segare, trasportare i tronchi e sfruttare in modo ottimale il legname ricavandone anche gli strumenti ed oggetti necessari per le attività quotidiane come sgabelli, gerle, slitte, ciotole, sporte, stampi per il burro e forme per le tome; lavoro che riempiva tutte le lunghe sere invernali. L’asprezza della vita era visibile anche a tavola, molto spesso i piatti quotidiani erano: minestra di castagne e cipolle, polenta, patate bollite con la pelle magari sulla stufa, salate e consumate con le tome di produzione propria e pane nero di segala. Il molino per macinare la segale e gli altri prodotti farinacei si trovava al di sotto della frazione Coindo sul torrente Sessi ed era gestito da Giuseppe Cordola con la moglie Sinato Giuseppina, ma già dagli anni 20 del novecento era in disuso, perciò essendo già precedentemente distrutto da una piena quello di Laietto che si trovava più a monte sempre sullo stesso torrente, per macinare si scendeva ad un molino sulla riva sinistra del torrente Sessi nei pressi della frazione Peroldrado dove anche si cuoceva il pane nel forno adiacente. Gli unici svaghi oltre il giorno di mercato erano la “Vijà” (veglia) il ritrovarsi giovani ed anziani della borgata in una stalla. Era il locale più grande della casa e il più caldo, da una parte stavano gli animali, dall’altra, seduti sulle foglie o su sgabelli le donne più anziane filavano la lana, le più giovani facevano la maglia o rammendavano, i giovani incontravano le ragazze nubili sotto lo sguardo vigile delle madri, gli uomini chiacchieravano, giocavano a carte e soprattutto raccontavano di fatti magici vissuti o risaputi, mentre i bambini ben svegli sgranavano gli occhi per l’interesse e per la paura, pronti a farsi accompagnare per andare a dormire onde non rischiare improvvisi avvistamenti delle masche. Già le vicende delle masche erano l’argomento principale durante le veglie invernali ed il mondo montano è permeato di riferimenti alla superstizione di questi esseri in cui confluivano le caratteristiche delle streghe e dei fantasmi, ma anche quelle degli spiriti dispettosi, più che malvagi. Come in altre località montane anche nei pressi del Coindo esisteva la “rocca delle masche”, luogo misterioso e un po’ temuto nel quale le masche si darebbero appuntamento per celebrare i loro malefici rituali. In contrapposizione agli spiriti maligni i vecchi raccontavano del corteo di fate al Civrari, monte tra le valli di Susa e di Viù, ove le leggiadre creature avrebbero il loro luogo deputato di ritrovo per sottrarsi alla curiosità degli umani. Molto sentite erano le feste religiose di S.Vito patrono di Laietto, quella di S. Antonio abate il 17 gennaio per la benedizione degli animali e la tradizionale festa del 2 agosto al Collombardo, Santuario costruito sullo spartiacque tra il comune di Mocchie e quello di Lemie, oggetto di varie dispute e scontri tra le popolazioni locali. Una tradizione singolare ormai persa nel tempo era quella di una festività d’inizio anno (forse l’Epifania o il carnevale) in cui un corteo chiassoso costituito da pochi ragazzini mascherati sommariamente con mantelli e cappellacci, al suono di strumenti improvvisati, attendeva i giovani uomini e le donne nubili all’uscita della funzione religiosa nella chiesa di Laietto per unirli a caso in matrimonio, deridendoli e apostrofandoli con canti, lazzi, filastrocche e battute anche licenziose.
Al Coindo viveva il mio trisnonno paterno Michele Cordola, uno dei figli Giovanni-Battista si sposò nel 1836 con Versino Barbara ed ebbe cinque figli: Michele (1846-1929), Marianna (1850-1918), Maria-Giacinta (1852-1929), Antonio (1858-1918) e Giovanni (1862-1946) tutti nati nella casa paterna al Coindo e battezzati nella parrocchia di S.Vito a Laietto.
La vita al Coindo era dura più che in altre frazioni di Mocchie perciò né Michele né Antonio trovarono moglie, Giovanni l’ultimo dei fratelli conobbe una donna meravigliosa, vedova con tre figli e mai arresa di fronte alla vita, sapeva filare la lana velocemente e disegnava segni nell’aria come una fata madrina. Portava lo stesso cognome ma proveniva dalla borgata Cordole di Mocchie, si chiamava Cordola Melania Emilia nata nel 1858 da GiovanniBattista e Senor Marianna sposata in prime nozze con Garnero Giovanni nel 1884, ebbe tre figli e rimasta vedova nel 1889, si risposò in seconde nozze nel 1891 con Giovanni Cordola.
Da questo matrimonio Giovanni e Melania ebbero cinque figli: Cordola Maria-Luigia (1892-1944), Spirita-Marianna (1894-1895) Virginia-Serafina (1896-1982) Spirita-Pasqualina (1898-1979) Anselmo-Firmino (1903-1970). Quest’ultimo Anselmo era mio padre e spesso mi parlava dei ricordi del borgo natio che risalgono alla sua lontana infanzia e adolescenza. Una vita difficile, in una famiglia numerosa, dove la parola gioco era priva di significato e i sacrifici, se non gli stenti, erano all’ordine del giorno.
La scuola? Era a Laietto e i ragazzini vi arrivavano a piedi calzando gli zoccoli di legno, da tante frazioni, con il bello e il cattivo tempo, con i più grandi (anzi “grandoloni” perché qualcuno aveva già ripetuto la classe più di una volta) a fare da guida. In un angolo dell’aula, là in fondo una sottile canna da sostenere i fagioli serviva alla maestra non solo per spiegare la lezione, ma anche per accarezzare le dita di qualcuno che chiacchierava o s’addormentava, con la testa sul quaderno. Ma Anselmo la scuola è stato costretto ad abbandonarla prestissimo, perché allora a nove-dieci anni, non si era più considerati bambini, ma già due braccia che dovevano e potevano fare di tutto. Al Coindo non c’era una cappella pertanto Anselmo ogni domenica saliva a piedi con i famigliari al Laietto, per assistere alle funzioni religiose e lì conobbe la donna che sarebbe diventata la sua compagna per la vita. Si chiamava Pautasso Giuseppina (1905-1997), nativa di Pratobotrile ove viveva nella casa paterna col padre Battista, la madre Versino Angela, la sorella minore Gasperina ed il fratellino Antonio. Anche Giuseppina aveva dovuto abbandonare la scuola alla terza elementare e salutare per sempre la sua maestra per aiutare in casa, ma crebbe forte e gentile come un fiore di montagna. Si erano sposati in chiesa il 25.5 a Laietto e con rito civile il 14.6 dell’anno 1929 ed erano venuti ad abitare al Coindo, nell’antica casa della famiglia paterna. Le due sorelle Maria-Luigia e Virginia-Serafina si erano già sposate anni prima con due fratelli anch’essi Cordola di cognome rispettivamente Ettore e Beniamino ed andarono a vivere a Torino dove esercitavano il mestiere di panettiere, il primo in Via Chiomonte e il secondo in Via Cristalliera. Spirita-Pasqualina si era unita in matrimonio con Aimone Carlo nel 1925 ed emigrata in Francia. Pochi giorni dopo il matrimonio religioso di Anselmo e Giuseppina la nonna Melania già gravemente ammalata venne a mancare e della grande famiglia ora restavano solamente in tre, i due sposi ed il nonno Giovanni a continuare il duro lavoro nei campi ed occuparsi del bestiame (due mucche ed una manza) in un Coindo che iniziava a spopolarsi.
In quel periodo per cercare di frenare lo spopolamento della montagna iniziava la costruzione della carreggiabile Condove – Mocchie – Frassinere opera progettata dall’ing. Domenico Moretto e che approvata, il 25 maggio 1913 dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, soltanto più di un ventennio dopo, poté essere ultimata parzialmente. Varie difficoltà d’indole tecnica ed alcuni inconvenienti verificatesi durante la costruzione (quale ad esempio l’ampia frana in prossimità della frazione Ravoire che causo un danno di oltre 150.000 lire alle opere già eseguite) resero estremamente difficile e laboriosa questa grande opera. Le cifre preventivate vennero ampiamente superate causando il tracollo della instabile finanza dei due Comuni più interessati a questa strada, Mocchie e Frassinere, i quali dovettero quindi essere assorbiti nel 1935 dal Comune di Condove, a cui pertanto rimase tutta la quota di spesa.
Consideriamo che i risultati del censimento nel circondario di Susa del 1901 davano a Condove 1266 abitanti, a Mocchie 2611 e Frassinere 1729. Ora le parti si sono invertite: Condove supera i 4000 mentre quelli di Mocchie, dal 1935 frazione di Condove, sono ridotti ad alcune centinaia.
Ma tornando al passato ed ai ricordi, restavano ancora senza collegamenti carreggiabili le frazioni Laietto, Pratobotrile, Coindo, Sigliodo e tante altre. I novelli sposi Anselmo e Giuseppina fedelissimi alla loro terra ed al loro aspro lavoro, al grave passo dell’abbandono di tutto il proprio avere, giungono soltanto per estrema necessità, nella durissima vita da essi pazientemente sopportata. Dopo la nascita dei primi due figli Ettore nel 1930 e Lino cinque anni dopo, vista la vita di privazioni che là si conduce decidono di scendere a valle nell’autunno del 1935 e vanno ad abitare alla frazione Ferriera di Buttigliera perché nel frattempo mio padre Anselmo aveva trovato lavoro all’Allemandi la polveriera di Avigliana sul Monte Cuneo (ad Avigliana esisteva una seconda polveriera, la “Valloja” ai confini con S. Ambrogio).
L’anno successivo il 1936 ritorno a Condove in una casa a ridosso della montagna, un luogo che li avrà sicuramente affascinati, non solo come prospettiva di vita meno dura e meno isolata, ma anche per il nome che portava: Contrada dei Fiori. E Condove divenne così il loro paese. Tutte le estati si tornava alla casa paterna del Coindo per non dimenticare i cari giorni lontani, in cui si era felici di poco e ci si preparava senza saperlo alle ore più fosche della vita. Intanto la famiglia cresceva di numero, nel 1937 arrivò Rita, nel 1940 Elvira (morta al parto), nel 1941 Mario, e nel 1942 Elena (morta prematuramente a 11 mesi). Poi la guerra: anni tremendi, anni di cui conservare in cuore, nel silenzio, il ricordo. Nel 1942 papà Anselmo va a lavorare alle Acciaierie Fiat di Via Cigna a Torino fabbrica impegnata nella produzione bellica e per i suoi spostamenti dispone di un lasciapassare bilingue italiano-tedesco. Ma ciò non impedì che il mercoledì 28 giugno 1944, mentre era intento a raccogliere ciliegie in una località sopra il Coindo, di essere fermato dai tedeschi saliti da Condove, portato a Mocchie dove già erano stati presi come ostaggi altri uomini, trasportati in Municipio a Condove e da lì deportati in Germania per il lavoro coatto nell’industria meccanica. Quello fu il primo rastrellamento fatto a Mocchie, mio padre all’arrivo dei tedeschi non tentò di fuggire o di nascondersi credendo che il lasciapassare gli garantisse immunità, ma così non fu. In quel tragico 1944 durante i bombardamenti su Torino di luglio perirono nella cantina della loro casa in Via Chiomonte la sorella di mio padre Maria-Luigia con il marito Ettore, nell’autunno dello stesso anno un altro Cordola di nome Alfonso fu ucciso dai soldati tedeschi mentre camminava davanti la sua casa al Coindo. Mia madre Giuseppina rimase sola coi quattro figli e con un altro in arrivo (era all’ottavo mese di gravidanza) ma non si perse d’animo e diede fondo a tutta la sua caparbietà per portare avanti la famiglia nonostante la guerra e le privazioni. Anselmo portato in Germania a Mannheim e successivamente a Francoforte, ritornò a casa nei primi giorni di agosto del 1945 a guerra finita molto provato nel fisico e nello spirito per le sofferenze patite, specialmente la fame, quando il piccolo Giorgio nato il 1° agosto 1944 dopo la sua partenza cominciava a muovere i primi passi.
E siamo al dopoguerra ed alla nascita dell’ultimo figlio Gianni nel 1947, le condizioni di vita migliorano sensibilmente e anche la frazione Laietto nel 1958 è raggiunta dalla strada carreggiabile. Il Coindo ormai quasi completamente abbandonato dai suoi abitanti ancora non ha una strada e rimane servito sempre dalla vecchia mulattiera.
Papà Anselmo riprende a lavorare alla Fiat a Torino, ogni mattina partiva prestissimo, Giuseppina lo accompagnava fino alla porta, lo vedeva allontanarsi con passo svelto nel buio verso la stazione ferroviaria. I figli crescono, studiano, lavorano e formano a loro volta nuove famiglie. Della casa paterna al Coindo restano poche mura senza più tetto in mezzo a rovi e ortiche ma tanti ricordi e piccole storie di vita quotidiana che vogliono essere un punto di partenza fondamentale nel recupero delle memorie e nella memoria sono speranza e stimolo per il futuro.
(Gianni Cordola – redatto nel 2011)