La benedizione delle case

Anni addietro, molti per la verità, dopo la Quaresima e la S. Pasqua, il parroco o il suo vice con uno o più chierichetti, avevano ancora un rito da compiere, una tradizione che li impegnava per qualche settimana a visitare le famiglie della Parrocchia e benedire le case. La benedizione delle case e delle persone è tradizione molto antica e rappresenta uno dei momenti più importanti dell’anno liturgico, non solo per i fedeli che la ricevono, ma anche per i sacerdoti che la impartiscono. Noi ragazzini aspettavamo con ansia queste giornate, perché avevamo il compito, ognuno per il suo borgo, di portare il secchiello dell’acqua santa, un cestino per mettere le offerte che faceva la gente e di accompagnare il prete dentro le case… ogni angolo veniva benedetto.

Erano pochi quelli che rifiutavano la benedizione. Per la Chiesa ha un significato più profondo, è l’insieme di gesti e parole con cui un sacerdote, o chi ne fa le veci, benedice e invoca la protezione di Dio su una o più persone, ma anche su cose e luoghi. Ma per la gente la benedizione portava bene, era una specie di assicurazione contro le disavventure che potevano succedere alla famiglia e intanto i sacerdoti prendevano contatto con i parrocchiani.

La benedizione delle case iniziava nel primo pomeriggio e continuava fin verso sera, per strade e vicoli, e per diverse giornate, non una famiglia doveva essere dimenticata. In ogni cortile era un abbaiare di cani, il prete con il messale in mano, avanti a passo svelto, e i chierichetti dietro, con il cesto per la raccolta offerte e l’acqua benedetta. Tante case erano povere, ma, sapendo della benedizione, tutto era in ordine e pulito. In casa si trovavano quasi sempre donne e figli piccoli, gli uomini erano al lavoro. Queste donne si toglievano il grembiule, si aggiustavano i capelli, indossavano un golfino della festa, sistemavano qualcosa fuori posto nel cortile e correvano a preparare l’acqua santa (presa nella cerimonia del Sabato Santo dove è presente la benedizione dell’acqua, il cui potere “miracoloso” fa parte di una antica e consolidata tradizione popolare). C’era sempre qualcuno che non ne aveva e allora il prete usava la propria.

La benedizione delle case

Le persone presenti muovevano le labbra sulla formula di rito e poi quando il prete terminava dicendo: la benedizione di Dio scenda su questa casa”, mettevano nel cesto una busta con dentro qualche spicciolo. Se era presente su una sedia “l’Unità” avevano cura di riporla in un cassetto affinché il curato non la vedesse. Il ricordo della guerra era ancora presente perché tante erano le fotografie di militari o partigiani caduti nella seconda guerra mondiale. Il prete ancora una volta benediceva quelle fotografie, perché sosteneva che una raccomandazione in più per passare dal purgatorio al paradiso anche a distanza di una decina d’anni non faceva male. 

Noi aspettavamo un po’ agitati, perché il parroco di Condove Mons. G. B. Bruno una volta non sorrideva tanto, e per salutarlo non si diceva “Ciao Don” ma “Sia lodato Gesù Cristo”. Era vestito con la tonaca nera lunga fino ai piedi con tanti bottoni, la berretta nera, detta tricorno, con forme squadrate a tre alette rigide e un fiocco sulla parte superiore anch’esso nero, aveva un aspetto confidenziale e buono. Noi, timidi, lo salutavamo, e lui ci regalava un sorriso: “Bravi bravi.” Entrava nella prima casa del borgo e, dopo il saluto alla padrona, si accomodava, chiedeva della salute, del lavoro, dei figli. Intanto cominciava a benedire la cucina e altri locali bisbigliando preghiere in latino; noi col secchiello alzato e lui con l’aspersorio buttava acqua santa dappertutto anche sui nostri visi. Sempre pregando, si avviava verso le scale, per benedire camere e solai. Il prete, indaffarato, in una mano teneva il libretto delle preghiere e con l’altra raccoglieva la veste per non inciampare.

Due chiacchiere, una preghiera e la benedizione a tutti… poi se avevano animali si andava verso la stalla. Si attraversava il cortile, e ancora acqua benedetta su animali, fienile e carri. Un saluto, e si passava ad un’altra casa.

Il tempo passava in fretta e, senza accorgersene, il secchiello era vuoto. Il prete, guardando l’orologio tirato fuori dal taschino sotto la veste: “Adesso torno in canonica bambini. Bravi e grazie, alla prossima”. Noi ci sentivamo sollevati, importanti e contenti; ma le famiglie che avevano avuto la visita del parroco erano di gran lunga più contente. Lui era venuto per conoscerli, ascoltarli e benedirli. Questa era una visita che faceva sentire il parroco vicino a loro e con la sua parola regalava speranza e serenità alle persone.

Anche nelle parrocchie di montagna Laietto, Mocchie e Frassinere era molto attesa la benedizione Pasquale delle case con particolare riguardo per le stalle e gli animali; il prevosto di Laietto quando ancora la montagna viveva e tutte le borgate erano abitate doveva inerpicarsi fino alle più sperdute case e alpeggi d’alta montagna. È diventato aneddoto quanto capitò all’alp Anselmetti verso il Collombardo. Il prete Don Giovanni Battista Margaria, priore di Laietto dal 1902 al 1938, era stanco e anche se vicino all’alpeggio non se la sentiva più di salire e allora gridò al margaro che di lassù l’attendeva: – Ehi! Ti posso benedire di quaggiù! – Al che il margaro alzando in alto una bella toma gli gridò di rimando: – Va bene, ma questa puoi anche vederla di laggiù! -Anche oggi una visita e una benedizione porterebbero un po’ di gioia alle famiglie che sono piene di tutto, non manca niente, ma a volte manca proprio la benedizione di Dio.

Gianni Cordola