Ël barachin o gavëtta o gamela sono termini piemontesi per indicare il portavivande, un contenitore di metallo originariamente di solo alluminio che diventa di acciaio nella seconda metà del Novecento. È composto generalmente da due pezzi che si incastrano tra di loro, un recipiente più grande che può fungere da pentolino adatto a contenere pasta o minestra, superiormente una pietanziera e un coperchio che una volta chiuso ha la funzione di tenere tutto assieme.
Veniva usato per trasportare e consumare il cibo in una borsa simile alle cartelle scolastiche, assieme a pane, a una bottiglia più o meno grande per il vino e alle posate avvolte in un tovagliolo. Il cibo è quello preparato dalle madri o dalle mogli. Il menù è vario, ma prevalgono le tradizioni regionali: i piemontesi portavano la minestra di verdura con pasta e riso, i veneti la polenta e i meridionali la pasta. Era bello vedere la diversità del cibo, c’era chi mangiava solo il primo, chi solo il secondo.
Parliamo di un oggetto che si associa anzitutto alla classe operaia quando nella prima metà del secolo scorso in Valle di Susa l’alternativa immediata alla campagna era rappresentata dall’industria, il termine barachin venne adottato per indicare gli operai stessi, poiché si portavano al lavoro il pranzo da casa in contenitori per poi riscaldarli. Un esempio su tutti furono gli operai della Moncenisio di Condove e della Fiat quando erano nel loro massimo splendore; essi erano soprannominati barachin.
Nelle aziende venne allestita una sorta di refettorio: in un angolo, con una specie di bacinella metallica o un pentolone riempito d’acqua fino a metà e con a fianco una bombola di gas e un fornello; prima della breve pausa pranzo, gli operai riponevano le gamelle e accendevano il fuoco per scaldarle a bagnomaria.
In seguito alle lotte operaie per il diritto alla refezione venne emanato il R. D. del 14 aprile 1927, n. 530 (Decreto ministeriale 20 marzo 1929) Regolamento Generale per l’Igiene del lavoro che prevedeva:
Art. 30. (Refettorio) Le aziende industriali e commerciali nelle quali più di 50 dipendenti rimangono nello stabilimento durante gli intervalli di lavoro, per la refezione, debbono avere uno o più ambienti destinati ad uso di refettorio e muniti di sedili e di tavoli. Omissis…
Art. 31. I refettori devono essere ben illuminati e ventilati ed inoltre riscaldati nella stagione fredda. Omissis…
Art. 32. Ai lavoratori dovrà essere dato il mezzo di conservare in adatti posti fissi le vivande che hanno portato con sé, di riscaldarle e di lavare i relativi recipienti. È vietato lo spaccio di vino, di birra e di altre bevande alcooliche nei refettori e in qualunque parte dello stabilimento.
Anche Condove si adegua alle nuove esigenze e nel 1941 la fabbrica locale Officine Moncenisio già Anonima Bauchiero nonostante le difficoltà derivanti dalla guerra in corso che rendevano difficile l’approvvigionamento delle materie prime inaugurava un grande edificio destinato a mensa per gli operai e deposito biciclette.
Col tempo del barachin non ne fanno uso soltanto gli operai ma tutti i lavoratori pendolari che non possono tornare a casa per pranzare o cenare, a causa della distanza o dell’orario continuato al lavoro. Anche gli impiegati andavano a lavorare con il barachin, ma le donne impiegate preferivano chiamarlo più elegantemente pietanziera. Il barachin connota il personaggio ed entra in espressioni di tutti i giorni, specialmente in Piemonte: “a travaja da barachin”, “a l’é un barachin dla Monce”, “a fa ‘l barachin da Gioanin Lamiera”.
La mensa con cucina fresca verrà conquistata solo più tardi nei primi anni 70, quando era difficile dire di no ad operai e sindacati.
Gianni Cordola