Notizia dell’antico Piemonte

Iacopo Durandi (1739 – 1817) giurista, drammaturgo e storico italiano, scrisse nel1803/1804 Notizie dell’antico Piemonte, ossia delle marche di Torino e d’Ivrea, opera in tre volumi di cui riporto integralmente il capo X della Marca di Torino da Susa ad Clusas Langobardorum.

NOTIZIA DELL’ ANTICO PIEMONTE TRASPADANO ossia LA MARCA DI TORINO

Parte Prima – Torino anno 1803

Stamperia di Saverio Fontana nel Palazzo della Mairie

CAPO X – Da Susa Ad Clusas Langobardorum , oggidì la Chiusa, e Chiavrie

Dacchè incominciarono le incursioni de’ barbari, questo più fertile, ed una volta popoloso inferior ramo della valle fu sempre il più soggetto ai guasti singolarmente de’ Franchi. A coteste calamità ve ne succedettero altre più lente e corrodenti nate dalle servitù de’ bassi tempi, ed altre multiplicate dai torrenti, e dal fiume disarginato, caduta che fu la strada romana.

Talora i nomi stessi di alcuni luoghi circostanti danno a divedere, che la culta faccia del mondo romano erasi trasformata in una più ispida e selvatica. Abbiam subito al norte della città Forestum, indi Canussum (Chianoc): di quà del fiume Mediana, da cui dipende la villa di Altaretto, Matanatis del testamento Aboniano (Matthie) e neppur tutte oggidì esistono le terre in esso rammentate senza verun ordine di sito, cioè Corvallicum, Petracava, Trebocis, Cicimianum, Voroxium, Cammite superior, et Cammite subterior.

Matthie dinominossi anche Matengum nel sopracitato diploma del 1026, Matingum nella carta di S. Giusto del 1029, la qual pur rammemora i luoghi sopraccennati, ma più innanzi Maticum, e Matium, donde il nome moderno quello di vicus Maticius più lungamente gli si conservò, e tuttavolta scrivesi vicus Maticus nella carta Ulciese XCIV del 1080. Appare sempre più come i nostri Taurini o Liguri, ed i Germani e i Galli aveano gli stessi nomi di luoghi, e di popoli, perché la loro lingua era la stessa, e non variava che pei diversi dialetti.

Così Matisco (Macon) non è diverso dal nostro Maticium, come pur Mattium capitale de’ Catti (Marpurg) così detto da Tacito.Seguita Buceletum del diploma Ottoniano del 1001 pel marchese Odelrico Manfredo, che Bozoletum è detto nella carta di S. Giusto del 1029, ma nella Ulciese CXXVII del 1137 scrivesi già Bocolen più analogo al moderno nome di Bussoleno provegnente da Buxetum, o Buxolicus, e di origine sicuramente romana. Antignasco è villa, che ne dipende. S. Georgius dove la chiesa di Oulx possedea terram ad modios LIIII, come vedesi nell’antica più volte lodata carta CXLVIII.

Nel diploma suddetto del 1001 appellasi S. Glorius, accorciamento conservato ancora oggidì, cui diciam S. Giorio. Villare Fulcardi, e più in quà S. Agata della mentovata carta del 1029, Villarfochiardo, e Santo Antonino. Ne’ monti e nelle vallette del primo giace Monbenedetto con valle Orseria, come già si notò. I viceconti di Baratonia lo furono un tempo anche di questo e son dessi che poi donarono più terreni alla Certosa di Monbenedetto supra Villarium Fulcardi. Il luogo di Sant’ Agata cedette il suo nome al più moderno di Santo Antonino, cui vi si era dedicata una chiesuola su l’entrar dell’undecimo secolo, e venne più di moda, cioè in valle Secuxia in burgo Sancta Agatha, et est constructa in honore infrascripti Sancti Anthonini, la quale, tranne la terza parte donata a s. Giusto nel 1029, fu poi ceduta dalla contessa Adelaide, e dal marchese Enrico suo secondo marito a’ 19 maggio 1043 monasterio et canonica Sancti Anthonini, quod est constructum ultra montem in valle quæ dicitur Nobilense. Il conte Tommaso I di Savoia concedette poscia al parroco la terza parte del luogo, e ritienla in feudo. Vaionaces della sopracitata carta Ulciese CXLVIII, oggi Vayes, nome ne’ secoli X e XI raccorciato, e latinizato in vaga, la qual terra fu l’ultima, che a questo lato della valle diedesi a S. Giusto di Susa nel 1029, dicendovisi usque in territorium, et finem de villa quæ dicitur Vaga. Essa appunto confina alla Chiusa di S. Michele.

A mezzodì di Vayes e de’ monti della Chiusa travalicando inverso la vallata del Sangone, termina il territorio, che in un colla città di Susa i Longobardi cedettero al re de’ Borgognoni, il qual lo unì alla nuova diocesi di Moriana, cioè tra i monti suddetti e Giaveno, ed a levante i confini di Avigliana. Tra mezzo a cotesti termini evvi Valgioia, come ora suol chiamarsi: la villa giaceva altre volte più là in fondo di quella valletta inverso Avigliana. Sembra questo il limite stabilito nel 588 tra le diocesi di Moriana, e di Torino nell’atto di divisione sopraccennato, est autem unus terminus in partibus Italia in loco qui dicitur Vologia, o sia Valogia, come ne’ manoscritti, donde ne’ bassi tempi prese nome il ponte di Vallovia accostantesi ad Avigliana, e riconosciuto ancor nel 1208 dal vescovo Morianese per l’estremo termine della sua diocesi. Parlasi dello stesso ponte nel diploma di Federico I del 1162 pel monastero di S. Michel della Chiusa, in cui narra, che ad uso di quello aveva Ugone di Auvergne comprato dal marchese di Torino Ardoino III il terreno infra pontem de Riole, et pontem de Vallocia, sicuti aqua defluit in flumine Duria; due termini dal mezzodi del monte della Chiusa, dove ponte Vallocia, fino a settentrione, dove l’altro, e secondochè il rivo scorrea nel fiume di Dora.

Tirando quindi una linea insino al Sangone su i confini di Valgioia e Giaveno col territorio di Avigliana una volta assai più ampio, appartengono al termine antico di Valdisusa le terre poste a ponente di cotesta linea nella superior valle del Sangone , cioè Coazze e Giaveno. La prima appiè del collo della Rousse, donde pur si trapassa in Valdipragelato, e donde surge il torrente del Sangone, chiamasi già Covacia nella carta del 1035 pel monistero di S. Solutore di Torino, fatta da Alrico vescovo d’Asti, e da Berta vedova del marchese Odelrico Manfredo , dipoi riconfermata dalla contessa Adelaide loro figliuola nel 1079. Altresì è ricordato Covaciumin territorio Covacio, en la val de Covacio nella carta Ulciese CXCV.

E’ parso ad alcuni di scorgervi in questo nome un vestigio di quello de Quadiatii della iscrizione di Cozio, perchè non avvertirono, che nessuno de’ popoli ivi descritti occupava un sito tanto inoltrato in quà, e si basso a paragon de’ popoli alpini; e oltre a ciò che Quadratium (Queiras) conserva troppo visibilmente il nome de’ Quadiatii. Indi Vicus Gavensis del cronografo Novaliciano, e Gavennum nella donazione del 1031 al monistero suddetto di S. Solutore. L’istesso cronista ivi pur ci fa intendere, che mentre il re Desiderio nel 773 difendeva il passo della Chiusa contro de’ Franchi, Carlo Magno per quest’altra via tramezzo le montagne, che asserisce essersi detta via Francorum fino a’ suoi dì, venne a discendere in planiciem vici, cui nomen erat Gavensis.

Quindi raccolto l’esercito, sorprese il nemico alle spalle. Checchè ne sia di ciò, non è verisimile, che questo così apparente cammino siasi,com’ei soggiugne, allora solamente discoperto da’ Franchi, i quali già da tanti anni tutta signoreggiavano questa valle, e conosceano per pratica ogni passo delle sue montagne.

All’altro lato della Dora, rimontando inverso Canusco, o Chianoc, donde innanzi ci dipartimmo, vi seguita Brosiolis del testamento Aboniano, o sia Bruxolum dell’Ottoniano diploma del 1001, altramente Brusiolum della carta di S. Giusto del 1019, Bruzolo. Fano Borgonis, che nella stampa del sopracitato testamento del 739 scorrettamente leggesi Tanno Borgonis (Burgone) detto Burbono nella carta del 1029 senz’altra aggiunta, perchè già da un pezzo erasi perduta insin la memoria dell’antico suo tempio, il cui nome sembra indicarci una deità locale quando ideata a capriccio, quando in memoria di un benemerito cittadino, quando sotto un nome strano indicava alcuno degl’iddii comuni.

Più sopra al norte Frassinere luogo di romana origine da Fraxineus, sebben con volgar inflessione già si dicesse Fraxinere ne’ secoli mezzani. Moccum, che dipoi per istrana eleganza de’ notai dell’ undecimo secolo si scrisse Mauce, come nella carta dell’accresciuta dote al monistero di S. Giusto del 1033, e nella conferma di Corrado Salico del 1037, Mocchie , la cui valletta però anche allora continuò a dinominarsi vallis Moccensis, ma è tutt’altra della valle Moccense ricordata dal Patrizio Abone, alla qual s’appartiene il Mercurio Mocco così detto dal luogo stesso, in cui i Galli il veneravano, come appar dalla lapida illustrata dal Bimard nella dissertazione de diis ignotis inserita da Muratori nel nuovo tesoro d’iscrizioni.

Da Mocchie si sale alla montagna di Nostra Donna del Colombardo, d’indi all’alpe della Sagna, donde scendesi a Lemie in Valdiviù. Di sotto Mocchie Condovi, e più a levante Caurum del mentovato Ottoniano diploma del 1001: dal conte Amedeo III nel 1147 chiamansi Condovia, e Cauria. Quest’ultimo luogo è il vicus Cabrius del cronista di Novalesa.

Chiavrie prese nome dal monte detto anticamente Caprasius, e tuttavia Caprario, rimpetto a cui ergesi all’altro lato del fiume il monte della Chiusa dal cronista suddetto grossolanamente appellato Porcarianus, e da Benzone per beffa nel panegirico di Arrigo IV Porcarana, ma dal monaco Guglielmo della Chiusa Pyrchiriana, e così pur a vicenda Pirchunianus, e Pirchinianus nella vita di S. Gioanni già romito in sul monte Caprasio, e da alcuni malamente confuso con Gioanni Angelopte arcivescovo di Ravenna. Il luogo di sua dimora per alcuni si reputa la terra di Celle di sopra quella di Chiavrie ingannati da sì fatto nome. Assai villaggi così dinominati esistevano sotto i Romani in varie province dell’ imperio, ed erano pressochè tutti su per monti e colline con casucce di contadini.

Ancor parecchi n’esistono in Piemonte così pur situati in costa. E’ noto , che quindi furon detti circumcelliones que’ malandrini, i quali scorrendo le campagne a mal fine, andavano poscia per coteste celle, o altramente ville a pascersi delle altrui vivande, arraffandole a’ villani.

I due monti sopradetti alquanto più in quel sito convergenti formano lo stretto di questo ramo longitudinale di Valdisusa, cui gli antichi dinominarono Le Chiuse. Ne rimase pur appropriato il nome al villaggio appiè del monte Pirchiriano, e cui villam contiguam nomine Clusam appella il mentovato monaco Guglielmo, il qual fioriva intorno alla metà dell’ undecimo secolo.

L’antico autore della vita di S. Gioanni suddetto secondo l’oscura sua maniera di spiegarsi volle indicarci essere di mille passi la larghezza dello stretto e piano fino a toccar il villaggio della Chiusa; certo non gli eccede, e quando il fiume innonda, occupa la metà del piano.

A questo stretto terminava la valle, e il tener di Susa sotto i Longobardi e i Franchi; onde Carlo Magno nel progetto della divisione de’ suoi stati nell’806 circoscrisse vallem Segusianam usque ad Clusas, senza nemmen far cenno dell’ altro suddivisato termine a mezzodi della montagna della Chiusa, ch’è troppo fuori di cammino. Spaccatura, o bocca deʼmonti Pircariano, e Caprasio chiamasi nel soprallegato diploma di Federico I del 1162. Divenne celebre per le guerre de’ menzionati due popoli; perciocchè i Longobardi soleano affortificarvisi, affin d’impedire a’ Franchi il penetrar di quà, i quali ancor non sapeano, oppur non osavano tentar altri passi dell’ alpi. Così la cronica di Fredegario avvertì , che intesa dal re Astolfo la mossa de’ Franchi, usque ad Clusas, qua cognominatur valle Seusana, veniens ibi cum omni exercitu suo castrametatus est.

Altrettanto fecesi pur da Astolfo l’anno seguente, per impedire, che i Franchi entrassero in Italia, la quale allora cominciava appunto dal forte della Chiusa. Ma il re Pipino disceso alle Chiuse, dove i Longobardi contrastavangli il passo, statim Franci solito more, ut edocti erant, per montes et rupes erumpentes (cioè per le aggiacenti montagne, e singolarmente per l’anzidetta via Francorum) in regnum Aistulphi cum multa ira, et furore intrant. Anastasio Bibliotecario ci narra lo stesso nella vita di papa Zaccaria, e soggiugne, che il re Pipino Clusas fonditus corumdem evertit Langobardorum, cioè a dire le opere costrutte, per chiudere lo stretto, le quali consistevano fabricis, et diversis maceriis. Il cronista di Novalesa aggiugne, che i Longobardi usavano serrar lo stretto con mura tirate dall’uno all’altro de’ sopradetti due monti, e oltre a ciò le rafforzavano con torri, e fortini dal villaggio della Chiusa fino a quello di Chiavrie, che gli stà quasi di rimpetto. Risguardano a questa maniera di trincee gli annali de’ Franchi, dicendo ( ad ann. 773 ) che Carlo

Magno avendo ritrovato clusas apertas, Italiam introivit; cioè aperte perchè il re Desiderio allo improvviso vilmente abbandonato da’ suoi già indutti a tradirlo, mentre gli stessi nemici disperando di vincere, stavano per dar volta in Francia, fu astretto ritirarsi, lasciar loro libero il passo, e chiudersi entro le mura di Pavia. Carlo premiò i traditori, che gli posero Italia in mano, conservandoli ne’ loro governi, come i duchi del Friuli, di Chiusi, di Spoleti ec., e sollevando degli uomini nuovi ad altri uffizi compri colla loro perfidia. Così cadde il regno de’ Longobardi già dimesticati Italiani.

A questo modo fu soddisfatta la mano ambiziosa, che da tanti anni la rovina loro ordiva; e l’abuso della religione, la viltà, la seduzione, la frode furono le armi, che sottomisero Italia agli stranieri.

Questo sito delle Chiuse de’ Longobardi ognor memorabile per un avvenimento, che da tanti secoli influisce su la smozzicata ed invilita Italia, non fu mai ben noto ai dotti stranieri. Di quà del villaggio, che ne serba il nome, salivasi parimente al tempio e monistero, ora la Sagra di S. Michele, in summitate montis tanquam in specula, come il sopracitato monaco Guglielmo vuol disegnarlo; perciocchè il monte terminando in angolo la serie di quelli, che il trasversal ramo di Valdisusa distaglia dalla catena delle alpi, rimane a levante e al norte staccato da ogni altro. Quindi finisce quasi in punta, su cui fabbricossi il monistero, che isolato a guisa di specola guarda, e domina lunge assai.

A queste due bande più ripido e più dirotto è però dovunque accessibile per sentieri più brevi, ma un po’ discoscesi ed erti. A mezzodì gli è come scala il monte minore, cui si connette, e va dechinando in verso Giaveno. Il tempo omai atterrò quell’antico nidio di monaci, ma risparmiò la chiesa. L’ignoranza de’ barbari secoli avvezza a travedere, a immaginare, a mendicar de’ prodigi nelle cose anco più semplici si avvisò d’interpretar il nome di monte Pirchiriano per fuoco del Signore, ovvero città di fuoco. Da così fatta etimologia nacquero le visioni delle fiamme, che la notte ardeano altamente in cima al monte, e così pur vi nacque l’ideata città Pirchiriana, o di Pirghi nel sito ove dipoi fondossi il monistero.

Lo stesso nome del monte sembra indicarci, che il greco governatore di Susa massime al tempo della irruzione de’ Longobardi abbia fatto o rassettare, o costruire ad uso di vedetta, e di guardia di questo passo una o più torri in cima, e appiè di esso monte, donde poi gli rimase il nome di Pirchiriano, o sia montagna delle torri. Infatti i Longobardi medesimi mantennero questa maniera di difesa contro a’ Franchi.

Trascritto integralmente da Cordola Gianni