La Sacra di San Michele nel 1825

Tratto integralmente da: DESCRIZIONE DEI SANTUARII DEL PIEMONTE PIÙ DISTINTI PER L’ANTICHITÀ DELLA LORO VENERAZIONE E PER LA SONTUOSITÀ DEI LORO EDIFIZII – OPERA ADORNA DELLE VEDUTE PITTORESCHE DI OGNI SANTUARIO, DEDICATA ALLA S. R. M. CARLO FELICE RE DI SARDEGNA

VOLUME PRIMO – TORINO MDCCCXXV – PRESSO LI F. REYCEND E COMPAGNIA LIBRAI DI S.S.R.M.

SACRA DI SAN MICHELE DELLA CHIUSA PRESSO AVIGLIANA

Come raccontano gli Storici, volgendo l’anno novecento sessantasei, mentre la città di Torino si manteneva sotto la tutela di Geronimo Manfredi, Marchese di Susa, un certo Ugone Marino, altrimenti detto lo Sdrucito, uno dei primi personaggi dell’Alvernia e Signore di Montebucchero, ebbe a dare incominciamento ad un’Abadia, che poi divenne celebre fra le quattro principali dell’ordine di San Benedetto. Il quale Cenobio, tra per le sante virtù de’ Monaci ivi stati raccolti, tra per l’erto del sito dove fu collocato e per la struttura singolare delle sue fabbriche, in ogni tempo fu l’oggetto della venerazione ed ammirazione de popoli.

Vuolsi che questo nobil uomo, l’uno degli antenati del venerabile Pietro Eremita, di cui ne cantò Torquato Tasso, fosse andato a Roma per visitare i Santi Luoghi, ed ottenere la remissione di un suo reato; che perciò, di ritorno da quella Città, giunto in Susa, si abbia proposto di compiere i suoi voti con mandare ad effetto l’edificazione di un Monastero; ed abbia a tal uopo scelto il monte Pirchiriano, siccome ottimamente piramidato, e la cui vetta signoreggiava quell’amena Valle.

Difatti quel luogo sembrava acconcio a chiunque, sollevandosi dalle cose terrene, bramasse volgersi alla vita contemplativa; ed avvegnachè ivi già fosse stata consegrata una Cappella all’Arcangelo San Michele; così un mattino, Ugone ed Isengarda sua moglie partiti da Susa vi si recarono, e riconosciuta l’opportunità del sito, discesero in Avigliana dove, accolti dal Marchese d’Ivrea Arduino (poi Re d’Italia), fu convenuto di quanto si avesse a contribuire in oro, argento e cavalli, per ottenere la cessione de’ terreni e promuovere le cose necessarie a quell’impresa. E, fatto quindi i medesimi il loro viaggio in Francia, e ritornati in Piemonte, con grosse somme di danaro, fu incominciata l’opera, la quale fu condotta a termine in trentadue anni; molta parte avendovi presa lo stesso Marchese Arduino, anche per compiacere allo zelo del Vescovo di Torino, Anucco, come per aderire al desiderio manifestato, in prò di quella fondazione, da Papa Silvestro; senza tacere i lavori manuali fattivi attorno dal santo uomo, Giovanni Vincenzo già Arcivescovo di Ravenna, che, ritrattosi a vita romitica sul monte Caprasio verso il 996 , là poco distante, tempo ebbe ed agio per adoperarsi in quell’edifizio.

La consecrazione della Chiesa, nel 998, fu opera degli Angeli, come si ha dalle preci liturgiche che si recitano il 29 maggio, giorno di sua dedicazione; e ciò fu favorevole allo stabilimento della Badia, mentre in tal modo può dirsi essere stata fin d’allora sottratta alla giurisdizione del Vescovo Diocesano. Ma essa non era ancora condotta a quell’immenso corpo di fabbriche, come lo fu in appresso. Si trovava suo primo Abate un Monaco detto Avverto, il quale stavasi in Susa in casa dell’ospite d’Ugone Marino; e morto questi fra poco, fu suo successore un Francese nato in Tolosa, chiamato Benedetto il seniore, perchè dopo di lui, fu Abate il suo nipote chiamato Benedetto il juniore, entrambi chiari per santità di vita monastica, narrandosi che a que’ tempi molte nobili famiglie dessero a que’ santi Monaci i loro figliuoli in educazione, come si pratica tuttodì ne’ Collegii; onde il monistero si trovava frequentatissimo da’ forestieri, essendovi stati accolti Sant’Anselmo d’Aosta poi Vescovo di Cantorbery, San Guglielmo Abate di Fruttuaria, ed il monaco Ildebrando, innalzato al Papato col nome di Gregorio VII. Sorti poscia i Conti di Moriana e di Savoja, verso que giorni, e chiamati al Regime Sovrano di questi Stati, essi ebbero a fare alla nascente Abbadia ricchissime donazioni; e molte conessioni vi fecero pure, ed accordaronvi privilegi, i Pontefici, Imperatori, Re, Principi, ed altri prelati e signori, in guisa che nel 1202, soggiacevano ai suoi Abati più di cento e quaranta altre Chiese, di cui buona parte in Francia e in Italia; e quegli Abati esercivano diritti di autorità temporale e spirituale sui Borghi della Chiusa, Sant’Ambrogio, Giaveno, ec.; e furono i monaci colà convenuti i primi a diradare le tenebre di queste contrade, trovandosi in numero grande, giacchè si narra che dodici muli andassero, ed altri ne venissero sempre da Susa, onde procacciare le vittovaglie.

Ma col volger dei secoli, discostandosi quell’Instituto dall’antica osservanza, invano Sisto V tentò di metterlo sotto la dependenza della Congregazione di Monte Cassino, come di sottoporlo alla riforma di Santa Giustina. Ridotto il Convento, nel secolo decimosettimo, a soli tre Monaci, Gregorio XV, ad istanza del Serenissimo Duca di Savoja, ne ordinò la soppressione, applicandone parte dei redditi alla fondazione della Collegiata di San Lorenzo in Giaveno. Così le fabbriche della Badia, già d’allora manomesse dal tempo, caddero in rovina dappoi; ma ne rimase in piedi la Chiesa con parte dell’edifizio principale, che, per l’aspetto laterale d’una vecchia torre, la vaghezza d’una galleria, l’altezza de’ muri, e l’ampio girare delle scale, si offre qual monumento sacro e guerresco da sorprendere i forestieri. Salito il monte alto e dirupato, però non senza qualche bellezza di cespugli e di acque, e trapassate le rovine di una Cappella detta dei morti, antica sepoltura dei Monaci, per via di lunghe gradinate si giunge alla porta d’ingresso, che mette capo ad un vestibolo il quale tutto rassomiglia all’entrata d’una fortezza, là posta per guardia del passo; quindi per cento e trentacinque altri scalini, di mirabil grandezza, con ispazioso andirivieno coperto, si ascende alla porta della Chiesa, che s’innalza al di sopra; e con tanta maestria e solidità di architettura , che, mentre le masse esteriori corrispondono all’elevazione dell’ edifizio, la rocca che termina in punta del monte, serve d’appoggio e come di anima interna a tutta la fabbrica, e se ne scorge ancora l’estrema cima accanto al volto della Chiesa, cui stà addossato il tetto della medesima. Salendo le scale interne il passaggero trovasi come atterrito alla vista di alcuni scheletri, che, tratti dalle catacombe de’ monaci, furono colà rizzati lungo il muro, ed addobbati nelle più strane foggie; opera di qualche Pellegrino venuto negli ultimi tempi al Santuario. Ma l’aspetto delle cose superiori ritrae bentosto l’animo da quegli oggetti di destruzione.

La Chiesa nel suo interno, di forma come dicesi gotica semplice, senz’aver nulla di rimarchevole, pare tuttavia magnifica e venerabile a segno, che dagli abitanti di quel luogo stimasi fabbricata dagli Angeli. A rincontro de’ pilastri si vedono colonne torse con fogliami e capitelli affatto singolari. Sull’ingresso, al di dentro, si scorgono i dodici segni del zodiaco; e il corpo della Chiesa è situato in maniera, che i devoti pregando stanno cogli occhi volti all’oriente. Fra gli ornati moreschi si osservano delle lettere carlovingie, con alcuni frammenti di motti in versi, che non è più dato di leggere. Il volto della nave di mezzo è romano, fatto a cilindro; quelli delle navi laterali sono dei terzi acuti, in arresto.

Fra i quadri antichi, in numero di tre, uno ne pare di buona mano, ma assai minuto, rappresentante la Madonna sedente sovr’una Cattedra, con varii Santi attorno; gli altri due non hanno altro pregio fuori quello del tempo. L’incona di S. Michele Arcangelo, come i pochi altri quadri moderni, sono affatto mediocri. Rimarchevole è il Mausoleo del Conte Tommaso III di Savoia, sepolto nell’Abbadia, perché suo benefattore avendole dato il pedaggio del pesce; morto nel 1282. Il Principe vestito da Monaco è disteso su di un sarcofago, cui sovrastavano quattro colonne di cattivo disegno, destinate a sostenere una piramide massiccia che, qual baldacchino, sovrasta al monumento. Sopra un pilastro, vicino all’altar maggiore, in un dipinto a fresco, si scorge il ritratto, come dicesi, di donna Isengarda, moglie del Fondatore. Nell’ingresso della Chiesa, su di una lapide grande, si legge l’epitaffio del Cardinale Sebastiano Guido Ferrero, Patrizio Biellese, stato allevato in Bologna, Vescovo di Vercelli e poi Cardinale; dotto Scrittore di diritto canonico, intervenuto al Sacro Concilio di Trento, Abate di San Michele della Chiusa, e morto in Roma.

Le suppellettili della Chiesa sono di poco riguardo, se si eccettuano un legno di Santa Croce, di lunghezza due oncie, ed un calice d’argento, di cui, sulla coppa veggonsi in basso rilievo le nozze di Cana in Galilea, e sul piede la moltiplicazione de’ pani e de’ pesci; lavori di un qualche pregio. L’altezza della Sacra di San Michele, misurata dal Saussure, fu trovata di 450 tese, al dissopra del livello del mare.

Intanto pare cosa degna sia tenuto conto dello zelo del padre Bruno Certosino, che, raccoltosi a questo antico Santuario, dopo la soppressione della Certosa di Collegno, lo è andato ristaurando con opere ed anche con ispese di proprio danaro; intento com’egli è a servire decorosamente la Chiesa, ad ammaestrare i Fedeli che vi accorrono, e ad accogliere con isquisita urbanità i forestieri. Al suo alloggio si giunge per una scala posta a manca di quella della Chiesa. Nelle sue camere si scorge un bel quadro dell’Olivieri, e due ne sono del Rapous. Oltre ciò viene mostrato ai forestieri un bastone pastorale, di un antico Abate, stato ritrovato nelle tombe, pei tre quarti, impietrito.

La Sacra di San Michele della Chiusa, dove giorno e notte salmeggiavasi con coro perenne, fu eretta anzi ridotta in Commenda, fino dal 1381, e fu mantenuta quale Abazia, immediata, cioè nullius dioecesis, dopo la soppressione del Monastero ; essa conta fra i suoi Abati persone di alto grado, fra le quali, il Cardinale Maurizio di Savoja, Antonio di Savoja, e l’invitto Principe Eugenio, che nel 1699, per opera del suo Vicario generale, il Canonico Caroccio, tenne in Giaveno il suo Sinodo; le cui Costituzioni appajono pubblicate in Torino dal Zappata, Stampatore abaziale. Dell’inclita Abazia è titolare in oggi l’Abate Don Cesare Garretti di Ferrere, Torinese, Presidente della Congregazione di Soperga, Limosiniere di S. M., e Maestro di Cerimonie dell’Ordine Supremo della SS. Nunziata,


La Sacra di San Michele della Chiusa, presso Avigliana (Incisione di Giacomo Arghinenti, su disegno dal vero di Marco Nicolosino), tratta da: “Descrizione dei Santuarii del Piemonte più distinti, per l’Antichità della loro Venerazione e per la Sontuosità dei loro Edifizii. Opera adorna delle vedute pittoresche di ogni Santuario, diligentemente colorite, dedicata alla S.R.M. di Carlo Felice, Re di Sardegna”. Torino MDCCCXXII, Presso li F. Reycend e Compagnia, Librai di S.S.R.M.].