Il 2 agosto 1837 si scatenava una celebre zuffa tra mocchiesi e lemiesi sul pianoro del Collombardo, nella festa della Madonna degli Angeli cui è dedicato il locale santuario eretto nel 1705. Ancora adesso a Mocchie, Laietto e Lemie è ricordato come l’anno della battaglia. Nei secoli scorsi, le feste alpestri, nel fervore dei canti e nell’ebbrezza delle abbondanti libagioni, diventavano occasione propizia di scherzi, lazzi, sgarbi, sfide e rivalità che poi sfociavano in risse da cui talvolta saltava fuori il morto. La festa di Collombardo si prestava facilmente a questi eccessi poiché si svolgeva ai confini di diversi paesi pervasi da reciproche ancestrali animosità. Plurisecolari erano i contrasti tra Lemie e Mocchie, rinfocolati da una lite per il possesso dei ricchi pascoli a Tomba Vecchia, Collombardino e Collombardo, dopo che il reale editto del 22 aprile 1733 per la formazione del nuovo catasto dei beni comunali li aveva assegnati al Comune di Mocchie. Una lite che si svolse a più riprese con diverse sentenze, ma sempre favorevoli a Mocchie, e si risolse definitivamente soltanto con una sentenza della Corte d’Appello di Torino del 9 luglio 1875 in favore di Mocchie. Gli sgarbi villerecci, cominciati saltuariamente fin dal 1790 raggiunsero il colmo quando si assommarono ai dissapori tra Mocchie e Laietto, causati con la costituzione in parrocchia della cappellania di Laietto nel 1829, il Santuario di Collombardo, fino ad allora curato dalla parrocchia di Mocchie, passò a far parte della nuova parrocchia di Laietto: fu quasi una guerra di religione! La situazione andò sempre più peggiorando finché si arrivò al fatale 1837, l’anno della battaglia. Pare che in primavera fosse partita qualche sfida da Mocchie proprio quando a Lemie era giunto il tipo adatto per raccoglierla: il sergente furiere Lorenzo Cargnino, ventunenne figlio del Notaio Giovanni Pietro segretario comunale di Lemie; era un giovanotto piuttosto vivace ed indipendente: congedato dal servizio militare, scalpitava nell’attesa di occupazione. Il 19 giugno 1837, sollecito di sistemare il promettente figliolo, il Segretario comunale lo fece nominare dagli amministratori “segretario sostituto” assumendosi ogni aggravio di spesa e garantendo ch’era pratico di studio notarile, colto in logica, etica e istituzioni civili, di conosciuta probità e buon giudizio, non avente lite con alcuno, ecc…ecc.. Ma il bravo ragazzo, nell’attesa del regio editto, per rompere la noia dell’aspettativa, organizzò una bravata che facesse rumore alla festa del Collombardo. Così all’alba del 2 agosto una quarantina di giovani lemiesi si inerpicavano su per la mulattiera, armati di schioppi e trascinando un cannoncino o bombarda che altro non era che un ricordo di guerra del Segretario Notaio che aveva militato fedelmente per cinque anni nell’esercito dei Savoia contro i francesi. Nella mattinata si svolsero funzioni e processione in una insolita tranquillità e poi i pacifici mocchiesi si sparsero per il pianoro per pranzare: il tempo era splendido. Quand’ecco spuntare una frotta di armati con alla testa il Cargnino, il quale in tempo delle funzioni, li aveva pasciuti, avvinazzati ed accesi clandestinamente, che comincia a sparare: scompiglio indescrivibile, gente in fuga, la diciassettenne Marianna Pettigiani di Michele Antonio ha la veste bucata da una palla che le rasentò il ventre, certo Rocci Giovanni Battista di Bartolomeo detto Moloira ha il cappello di paglia traforato, e scherzi simili avvertiti solo più tardi ne avvennero parecchi dirà un testimone oculare il chierico ventiduenne Carlo Bertolo di Rubiana. La chiesa si riempie di rifugiati mentre la sparatoria continua ed un gruppo dei mocchiesi più animosi si lancia contro gli armati che rispondono con una salva di spari: il mocchiese Giovanni Battista Garnero detto Molina, si abbatte sanguinante col ventre squarciato e le budella che ne uscivano. Alla vista del sangue svaniscono i bollenti spiriti e l’altopiano si fa d’incanto deserto e anche la squadraccia di armati lemiesi scompare. Si improvvisa una barella e si adagia il ferito che portato a casa fortunatamente se la caverà con poco non avendo ricevuto oltre la ferita superficiale altre lesioni gravi, ma frattanto si diffondono le più agghiaccianti notizie di morti e feriti del tutto infondate. Naturalmente a Lemie nessuno ne sa niente ed invano investigano i carabinieri reali; ad una precisa richiesta del regio intendente, il consiglio comunale risponde “che circa li colpevoli della rissa di Collombardo i consiglieri comunali non ne possono avere cognizione, tal festa essendo celebrata in luogo assai discosto dal capoluogo e situata sulla montagna del territorio di Mocchie, essendovi la distanza di miglia quattro circa per cattive strade”. Ne sanno tutti a iosa invece nei paesi limitrofi e qualcuno che ha della ruggine con il Comune di Lemie fa circolare la voce che a capeggiare i rivoltosi insieme al figlio del segretario comunale ci fossero anche i due figli del sindaco Giuseppe Antonio Milone. Ai carabinieri che piombano a Lemie con mandato d’arresto per gli indiziati, invano il sindaco oppone la dichiarazione del parroco e di tutto il consiglio comunale i quali attestano che il figlio maggiore del sindaco Giovanni Domenico di anni 37 è stato per tutto quel giorno a mietere segale in Lemie, mentre il minore Giovanni Matteo ventunenne, era al pascolo delle pecore su per la montagna. Frattanto i tre ricercati se la sono squagliata; ma la notte del 16 agosto i carabinieri circondano e perquisiscono le loro abitazioni riuscendo a sorprendere nel sonno il figlio maggiore del sindaco che, incatenato, è condotto a Susa. Sarà poi prosciolto da ogni addebito e liberato dopo cinque mesi. Lo stesso giorno sopraffatto dall’onta e dal crepacuore, muore il segretario Giovanni Pietro Cargnino notaro. Si susseguono fitti i rastrellamenti alla ricerca dei latitanti, cosicché all’inizio di settembre cinque carabinieri che scendono dal vallone dell’Ovarda travestiti da cacciatori, sono riconosciuti mentre cercano d’investigare presso l’osteria e ricevono frizzi ed allusioni che ritengono offensive. Fanno rapporto al comando: “a Lemie è stata insultata la forza pubblica con parole ingiuriose al Governo e con minacce e segni d’insubordinazione e rivolta”. Viene a Lemie un capitano dei carabinieri con discreta scorta per fare investigazioni e pare che se ne riparta rassicurato, ma il 29 settembre giungono cinque carabinieri per ritirare la licenza all’oste Battista Gay, accusato di lasciar frequentare l’osteria ai ricercati. L’oste era appena sfuggito ad un agguato dei mocchiesi che l’avevano assalito mentre nel loro territorio ritornava da Condove con dodici brente di vino trasportate da sei mule che prudentemente il Gay aveva affidato a due conducenti ussegliesi: si affidò alle gambe lasciando merce, mule e conducenti nelle mani dei facinorosi. Ai carabinieri non restò che partire alla volta di Mocchie e fortunatamente trovarono in Vallorsera mule, vino e mulattieri, un po’ sconvolti ma sani e salvi, poiché i mocchiesi li avevano risparmiati quando li riconobbero per ussegliesi. Il governo allarmato, spedì allora un distaccamento di quaranta bersaglieri in assetto di guerra ed una squadra di venti carabinieri ad occupare militarmente Lemie e Mocchie. Il tatto del capitano dei carabinieri Corsi di Bosnasco, ma forse ancor più le gravose spese di occupazione, indussero gli amministratori comunali dei due paesi a fare sollecitamente la pace. Il 18 ottobre fu una radiosa giornata: alle ore dieci, sul Collombardo, tra le truppe schierate davanti al santuario il capitano Corsi arringò le due amministrazioni esortandole a “promettere perfetta rispettiva armonia e concordia tra di esse e favorirla tra i rispettivi amministrati in modo che abbiano fine ogni animosità e dissensioni tra essi loro, ed obbedire e far obbedire le sovrane leggi e regolamenti. Stilarono l’atto di pace i due segretari comunali, lo firmarono per Mocchie il sindaco Stefano Croce ed i consiglieri Antonio Votta, Alessio Pettigiani, Giacomo Gagnor, Giovanni Giuglard e Michele Falco; per Lemie il vice sindaco Gallo Domenico ed i consiglieri Michelangelo Ala, Gabriele Daniele, Giovanni Romanetto e Pietro Oldrà. Su proposta del cap. Corsi si formò una delegazione con i mocchiesi Stefano Croce e Alessio Pettigiani ed i lemiesi Domenico Gallo e Michelangelo Ala per “umiliare copia dell’atto di riconciliazione al Maresciallo Governatore della Divisione di Torino e da Ella implorarne valevole di Lei mediazione onde impetrare dalla Maestà del Regio Trono benigno condono per far cessare le misure di rigore in proposito emanate”. Si gridò viva il Re e poi l’amministrazione di Lemie sfamò i presenti, truppa compresa, con mezza brenta di vino, pane formaggio e toma per la spesa di lire 23,50, porto compreso. Altre venti lire andranno per la trasferta a consiglieri e segretari comunali e lire dodici caduno ai quattro che si recarono a Torino in delegazione dal Governatore. Carabinieri e bersaglieri partirono verso la fine del mese: tutta la faccenda costò al comune di Lemie lire 391,50. E il Cargnino l’anima della battaglia? Il 13 maggio 1839 il consiglio comunale di Lemie umilia una supplica alla Sovrana Clemenza perchè sia condonata la pena inflitta in contumacia al latitante Lorenzo Cargnino, in riconoscimento d’avere il defunto padre servito fedelmente il Sovrano per cinque anni come Maggiore delle milizie nella guerra contro la Francia. La supplica viene accolta e il 27 luglio 1843 il Cargnino è a Lemie tra coloro che accolgono l’arcivescovo mons. Franzoni in visita pastorale. Negli anni seguenti diventerà segretario comunale e scapolo impenitente dilapiderà il patrimonio paterno, morirà il 27 dicembre 1885.
Bibliografia:
mons. Giuseppe Vinassa – Memorie storico-religiose-morali della Cappella del Collombardo – 1906
can. Luigi Pautasso – Il Santuario del Collombardo – 1983
don Luigi Caccia – Asterischi lemiesi – 2000
Gabriella Tittonel e Elisio Croce – Il Collombardo – 2005
Giorgio Jannon e Mauro Charrière – Collombardo – 2005