La fienagione ieri a Laietto e Pratobotrile

(Fé ‘l fen ier a Lajet e Pabotri)

Siamo ai primi giorni di giugno, nei prati di Laietto e Pratobotrile, borgate di Condove a circa 1000 m. di altezza, la fioritura è completa e quasi incomincia a sfiorire, il fieno è maturo, è giunto il momento della fienagione di primo taglio che si concluderà a settembre, con il fieno di secondo taglio: giornate faticose, specialmente per gli uomini.

Ci si alzava molto presto e si partiva con le falci a spalla quando il cielo era ancora stellato e la mulattiera per raggiungere i prati appena visibile. La martellatura della falce era già stata fatta la sera precedente. Il lavoro veniva compiuto interamente a mano ed impegnava duramente e a lungo l’intera famiglia. Gli attrezzi impiegati nella fienagione erano: falce (ël daj o ranza), rastrello (rastel), tridente (trent), cote (la co) e portacote (pòrta-co). La cote è un arnese per affilare la falce, formato da una pietra abrasiva naturale tagliata in varie forme.

Falce e cote

All’alba l’uomo falciava l’erba, ancora madida di rugiada, incominciava da un angolo del terreno e procedeva in modo lineare a strisce, formando alla sua sinistra il cumulo di erba tagliata, ogni tanto si fermava per affilare la lama con la cote. Quando tutta l’erba è caduta, risultava raccolta in file irregolari che erano immediatamente sparpagliate per favorirne l’essiccazione. In poche ore veniva tagliata un buona quantità di fieno, e lo sforzo fisico, con l’aria mattutina, faceva crescere l’appetito. L’arrivo della donna di casa con il paniere del pranzo era accolto con piacere. L’uomo deponeva la falce e all’ombra di un albero mangiava pane e toma con del buon vino. Terminato il pasto l’uomo continuava il suo lavoro mentre la donna coi bambini si dava da fare intorno al fieno.

Fare il fieno, era un lavoro, ma anche una fantastica occasione di divertimento per i ragazzi. Il profumo acre dell’erba appena tagliata e quello dolciastro del fieno secco; il morbido volume dei mucchi di erba secca sui quali ci si buttava a capofitto. Se era rimasta erba vicino agli alberi ed ai cespugli la donna la tagliava a mano con una piccola falce (la mëssòira). Il giorno successivo, quando comunque il fieno aveva subito una parziale trasformazione e cominciava ad appassire, si provvedeva con il rastrello a formare lunghe file orizzontali. Quando era accertata la completa essiccazione, si provvedeva alla raccolta per mezzo del tridente in grandi mucchi, mentre con i rastrelli si provvedeva alla minuziosa raccolta del fieno rimasto sul terreno.

Per la raccolta a seconda della quantità e della distanza da casa si avvaleva di diversi metodi: la coperta da fieno, la fraschera, il barione e la trappa.

La coperta da fieno (fioré) era un pezzo di tela di cotone o canapa quadrato di circa due metri di lato, con corde fissate agli angoli; si distendeva sul terreno, vi si metteva il fieno sopra, legando le corde a due a due, incrociate e si portava a spalle.

Coperta da fieno

La fraschera (la fëschera), era un attrezzo costituito da due lunghe sbarre parallele, unite alle estremità da due listelli, in modo da formare un telaio; al centro dei lati corti vi era un foro, nel quale scorreva una corda, all’estremità della quale era fissato un apposito utensile di forma affusolata, che serviva per facilitare l’annodatura. Veniva appoggiata sul terreno, con il tridente si caricava il fieno sopra, quindi si passavano le corde e si faceva il nodo. Per caricarla sulle spalle si metteva in verticale e con le mani si impugnavano le sbarre lunghe.

La fraschera

Il barione (barion), era costituito da due sbarre in legno, lunghe circa un metro e mezzo, con dei fori nei quali scorrevano delle corde parallele: alle estremità di una delle barre erano fissate altre due corde, che servivano per legare il carico. Il barione si stendeva sul prato, poi con il tridente vi si metteva il fieno sopra, quindi si chiudeva in modo che il fascio assumeva una forma cilindrica come un grosso salame. A seconda della lunghezza dei bastoni il barione così formato era abbastanza pesante poteva essere trasportato sulle spalle o con la slitta (la lesa ò levia).

La trappa (trapa) era invece costituita da una rete di corda e due semicerchi in legno. Si distendeva aperta sul prato, vi si metteva sopra il fieno, si chiudeva avvicinando i legni, quindi si legava. Questo sistema era utilizzato di solito per il trasporto di piccole quantità di fieno e per tratti non molto lunghi.

La trappa

Il fieno veniva stipato nel fienile, generalmente collocato nella parte alta dell’abitazione, in modo da essere aerati e da consentire al tempo stesso il trasferimento del foraggio nella stalla per tramite di una botola, per garantire l’alimentazione del bestiame durante il lungo inverno. Ma quanta fatica prima che il fieno fosse sistemato nel fienile.

La fienagione era ed è la base dell’agricoltura di montagna, rappresentava in passato un’operazione di importanza vitale per la sopravvivenza della comunità, in quanto la possibilità di alimentare il bestiame durante il lungo inverno dipendeva strettamente dalla quantità di fieno che si riusciva a raccogliere durante l’estate, inoltre consentiva il pieno utilizzo dei prati e dei pascoli. L’esito della raccolta dipendeva esclusivamente dalla pioggia che, se cadeva sopra il raccolto, la stagione era compromessa e il montanaro doveva acquistare foraggio o eliminare uno o più capi di bestiame.

Ma lo spopolamento della montagna ha fatto si che tanti prati non vengono più falciati con il rischio, dopo fenomeni meteorologici di forte intensità, di eventi dannosi al territorio. Una regolare falciatura estiva dei pendii aiuta la prevenzione delle valanghe. Naturalmente le masse di neve precipitano a una velocità maggiore se incontrano superfici scivolose sul loro cammino. Se i prati vengono lasciati incustoditi durante l’estate, le piogge autunnali e la neve dell’inverno schiacciano l’erba alta, facilitando l’erosione in primavera.

Gianni Cordola

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