Mocchie Frassinere e Condove durante la grande guerra 1915/18

Giornale LA STAMPA del 24/5/1915
Giornale LA STAMPA del 24/5/1915

Com’era la vita quotidiana nelle borgate di Mocchie durante la Grande Guerra del 1915/18? La storia non va ristretta alle sole vicende belliche, a quelle politiche od hai progressi nel campo tecnologico militare. I nostri montanari arruolati per la maggior parte nel battaglione alpino “Susa”, combattevano al fronte e dovevano vivere nelle trincee con tutti i problemi che ciò comportava, ma situazioni di disagio e di sofferenza si riflettevano anche nelle regioni dove le armi tacevano: persone comuni, donne, giovani, anziani e bambini di tutta Italia che videro i propri figli, mariti o padri partire per il fronte e spesso non tornare. Tutti furono coinvolti in questo avvenimento collettivo. Anche gli abitanti e le famiglie di Mocchie, Frassinere e Condove furono inquadrati nel cosiddetto “fronte interno” e diedero un contributo agli stravolgimenti sociali e culturali di quel periodo. L’intento delle autorità era far partecipare al clima bellico non solo i soldati o le popolazioni che per loro sfortuna abitavano vicino al confine austro-ungarico, ma indistintamente tutti gli italiani. L’assenza di molti uomini chiamati a combattere contro l’esercito austro-ungarico provocò delle conseguenze molto pesanti a livello economico e sociale.

La gran parte dei nuclei famigliari di Mocchie e Frassinere erano di origine contadina, legati alle consuetudini e alle tradizioni di un tempo: i membri maschi avevano il compito di lavorare fuori dalle mura domestiche mentre le donne eseguivano le proprie mansioni all’interno, accudendo i figli e sbrigando le faccende di tutti i giorni. Le cose non erano molto diverse nemmeno per Condove dove da circa 8 anni era iniziata l’industrializzazione con la fabbrica “Società Anonima Bauchiero”, per le famiglie “operaie” l’unica differenza era l’impiego degli uomini nelle fabbriche anziché nei campi.

Una situazione che mutò profondamente nel 1915. Con il progressivo arruolamento degli uomini, i campi in montagna furono seguiti dalle donne che con tenacia e fatica riuscirono a mantenere attive le produzioni agricole. La fabbrica di Condove per tutto il triennio di guerra sfornò armi e strumenti militari aumentando le maestranze (prima del conflitto contava circa 750 unità), con l’assunzione di un gran numero di donne e ragazzi che si occuparono anche dei lavori più pesanti. I posti di molti contadini ed operai furono lasciati vuoti e vennero coperti da chi era restato e non sarebbe mai stato chiamato al fronte: le donne. Il loro ruolo, per la prima volta, passò da “angelo del focolare domestico” a membro attivo dell’economia e della società collettiva. Non che le donne fossero del tutto nuove a questo tipo di esperienza: molte di loro erano già abituate al lavoro nei campi mentre, a livello industriale già lavoravano nel settore tessile.

Ovviamente questo processo non fu indolore, le donne erano obbligate a compiere gli stessi lavori dei colleghi maschi, anche quelli più faticosi. Nei campi era necessario spostare i covoni di fieno o i sacchi di grano, accudire il bestiame. Allo stesso modo all’interno delle fabbriche dovevano essere sollevati pesi non indifferenti e compiuti gesti ripetitivi e meccanici.

Col 1916 cominciano anche le prime requisizioni di grano e la precettazione del fieno, destinato ai Presidi Militari, a queste seguiranno poi anche quelle degli animali. Tutti i coltivatori furono soggetti a questo tipo di provvedimenti. Col 1917 fanno la loro comparsa i razionamenti, vengono fissate le quote di farina, granturco, riso, semola e riso destinate ai Comuni per il 1917.

Durante la guerra la vita diventava sempre più difficile e richiedeva molto alle donne. Significava cavarsela con quel che c’era. La farina non bastava più per le solite zuppe, il latte mancava, a volte non c’era nemmeno lo zucchero, bisognava pensare molto più di prima alla cucina per studiare come sostituire ciò che mancava. Le continue esortazioni sui giornali, nei volantini del governo su come bisognava risparmiare in cucina suscitavano solo un sorriso nelle donne: così abbiamo già fatto, pensavano. Già da tempo si utilizzavano gli scarti della verdura per le zuppe, così i resti del pane, si utilizzava il mais al posto della farina ed era usuale mangiare almeno più volte alla settimana polenta con formaggio.

Le donne presero il posto dei propri mariti (o figli) anche in quelle faccende domestiche tipicamente maschili come le questioni burocratiche, gli acquisti o le vendite di prodotti agricoli.

A questa sorta di “emancipazione” lavorativa non corrispose però una maggiore libertà a livello personale: nonostante l’assenza degli elementi maschili in età arruolabile, nelle case rimanevano gli anziani i quali, come da tradizione, continuavano ad esercitare il loro ruolo autoritario all’interno della famiglia. Alla fine della guerra le donne vennero rimpiazzate subito dai reduci di guerra e la coscienza di sé acquisita con il lavoro fu costretta ad attendere “tempi migliori” per esprimersi pienamente nel processo di emancipazione femminile.

Anno 1915 – Decalogo della donna italiana durante la guerra

Anche nelle scuole di Mocchie e Laietto le cose cambiarono: nel corso inferiore di 4 anni i maestri leggevano e facevano leggere articoli di giornali che parlavano di guerra e di quanto stava accadendo al fronte. Grande rilevanza veniva data alle descrizioni delle molte illustrazioni che erano pubblicate su questi periodici, prime fra tutte quelle famosissime de “La Domenica del Corriere”.

La Domenica del Corriere del 11/11/1917
La Domenica del Corriere del 11/11/1917

I bambini così scoprirono i territori ed i luoghi del fronte, le armi utilizzate al fronte, gli esplosivi, i gas e gli affascinanti aeroplani. Non mancavano poi riferimenti alle tecniche di costruzione delle trincee, dei camminamenti e dei reticolati.

Gli insegnanti avevano anche il compito di sorvegliare e segnalare i casi di bambini che si dimostrassero poco inclini a sostenere la guerra e lo sforzo patriottico. Circolavano delle cartoline che invitavano a seguire gli esempi dei bambini raffigurati su carta. Da bravi piccoli italiani, rinunciavano a saltare alla corda per non consumare troppo la suola delle scarpe oppure cercavano di non fare macchie sui fogli con la propria penna in modo da evitare gli sprechi. Le stesse cartoline poi suggerivano di non mangiare nulla fuori pasto e di non utilizzare lo zucchero, un bene che scarseggiò per tutto il periodo bellico. Anche i giocattoli e i giochi di gruppo cambiarono nel 1915. Nelle botteghe non si trovavano più orsacchiotti ma imitazioni di pistole e fucili. Nei nostri paesi intanto cominciano ad arrivare con telegramma dal Ministero della Guerra le prime comunicazioni della morte di soldati.

Telegramma comunicazione morte
Telegramma comunicazione morte

Il sottotenente Bonaudo Attilio di Condove classe 1882 deceduto il 18 giugno 1916 sull’Altipiano di Asiago contro la grande offensiva Austro-Ungarica fu insignito della medaglia d’argento al valor militare. Motivo della decorazione: “cadde ferito e rifiutò i soccorsi per non distrarre i suoi uomini dall’azione in corso. Colpito una seconda volta morì sul campo di battaglia”.

Laietto - Lapide ricordo caduti
Laietto – Lapide ricordo caduti
Lapide nel cimitero di Condove a ricordo dei caduti in guerra
Lapide nel cimitero di Condove a ricordo dei caduti in guerra

Nell’estate 1917 ebbero luogo a Torino dei disordini, causati dalla scarsità di generi alimentari, che si chiusero con un bilancio di 41 morti. La mancanza di molti prodotti e le restrizioni di vario genere produssero un abbassamento nel morale della popolazione civile che si ripercosse inevitabilmente sui militari, tanto più che al fronte circolavano storie quanto mai deprimenti di speculatori che ammassavano delle fortune grazie alla guerra.

Mocchie - lapide ricordo caduti grande guerra
Mocchie – lapide ricordo caduti grande guerra

I soldati in licenza raccontavano alle famiglie le immagini di tragedia della guerra di trincea, che contribuivano ad accrescere il clima di generale scoramento, che vedeva coinvolte innanzitutto quelle donne che, private dei loro uomini inviati al fronte, si trovarono costrette a vivere una vita di miseria e di stenti. Ci furono molte defezioni e fughe dalla trincea, e non poche furono le licenze ottenute con atti di autolesionismo al fine di poter tornare a casa per una semina o per un raccolto.

Una cartolina postale del 1915 con cui i soldati al fronte comunicavano notizie ai famigliari
Una cartolina postale del 1915 con cui i soldati al fronte comunicavano notizie ai famigliari

Le preoccupazioni aumentarono sul finire dell’estate del 1918: il conflitto diventato guerra di posizione con milioni di militari ammassati sui vari fronti, in trincee anguste e in condizioni igieniche terribili che favorirono la diffusione di malattie tra le quali la febbre spagnola. Il particolare contesto storico in cui questa influenza si diffuse causò una decimazione della popolazione civile più di quanto non avessero fatto gli eventi bellici di per se stessi. Come la guerra, anche questa scelse le vittime fra i giovani, ma colpì soprattutto le donne. I maschi, al fronte, entrarono in una diversa contabilità, ma è risaputo che molti non furono abbattuti dalle pallottole nemiche. La “febbre spagnola” tra la fine di ottobre e la metà di dicembre 1918 causò nella sola Parrocchia di Laietto una quindicina di lutti tra i quali due bambini.

4 Novembre 1918 Bollettino della Vittoria
4 Novembre 1918 Bollettino della Vittoria

Alcuni anni dopo la fine della guerra arriva alle mamme dei caduti da parte del Ministro della Guerra, la “Medaglia di gratitudine nazionale decretata alle mamme dei caduti per la patria nella guerra 1915-18” in forza del Decreto del 24 Maggio 1919 n. 800.

Decreto di concessione medaglia di gratitudine nazionale alle mamme dei caduti guerra 1915/18
Decreto di concessione medaglia di gratitudine nazionale alle mamme dei caduti guerra 1915/18

Gianni Cordola