Quando andavo alla colonia estiva Fiat

Ormai forse pochi se ne ricordano, e molto probabilmente i più giovani nemmeno ne hanno mai sentito parlare, ma c’era una volta la colonia estiva Fiat, nata in un periodo in cui le vacanze estive erano ancora precluse alla maggior parte degli italiani. All’interno del sistema di welfare aziendale di Fiat le colonie costituivano un supporto ai lavoratori e anche un modo per far crescere la solidarietà aziendale e per ridurre la conflittualità nelle fabbriche.

Anche mio padre operaio Fiat mi iscrisse alla colonia estiva dal 1956 al 1959 (dai 7 agli 11 anni), destinazione Marina di Massa. Erano settimane di vacanza nelle quali certo non mancava la disciplina, allora molto in voga, e non vi era nulla nell’organizzazione delle giornate che fosse lasciato all’imprevisto. Non esistevano giornate inattive, vuote, c’era sempre un sacco di cose da fare, con orari precisi: giochi di squadra e sport, camminate, attività di gruppo e lavoretti. I regolamenti erano severi, oggi forse impensabili, le vigilatrici comandavano con modi autoritari: bagno, dormire, passeggiata, gabinetto, merenda. Ma chi ci è stato racconta ancora del piacere delle giornate trascorse al mare o in pineta, con amicizie nuove.

Il ritrovo per la partenza era in una palestra di Via Magenta a Torino, li venivamo vestiti con berretto bianco alla marinara, maglia blu e calzoncini bianchi, uguale per tutti i piccoli ospiti e distribuito gratuitamente, taglio capelli se troppo lunghi, quindi visita medica e dopo qualche iniezione di non so cosa, si raggiungeva la stazione di Porta Nuova e partenza in treno. Eravamo divisi in squadre tutte di maschietti, le femmine andavano in altro turno.

Negli anni Cinquanta, dopo la partenza in treno dei bambini, non c’era modo di sapere se il viaggio e l’arrivo in colonia erano andati bene. La Fiat il giorno successivo pubblicava sul quotidiano “La Stampa” un’inserzione molto breve in cui diceva che il viaggio si era svolto senza inconvenienti e che i bambini erano arrivati in colonia.

Arrivati a destinazione vediamo la colonia per i figli dei dipendenti Fiat, una grande torre bianca: si trova a Marina di Massa nella pineta apuana ed è stata realizzata negli anni trenta del secolo scorso, su progetto dell’architetto Vittorio Bonadè Bottino (lo stesso di Mirafiori e delle torri gemelle di Sestriere e Sauze d’Oulx), seguendo i canoni architettonici dell’epoca fascista. L’edificio è composto da una torre, di 17 piani e 52 metri di altezza, e due ali a pianta rettangolare lunghe 30 metri. I piani sono a sviluppo elicoidale e ogni camerata è progettata per ospitare una squadra di circa trenta bambini e una vigilatrice. Il particolare profilo elicoidale delle camerate, conferisce al pavimento un andamento costantemente inclinato per cui ogni lettino varia la lunghezza dei piedi per correggere l’andamento pendente.

La colonia Fiat a Marina di Massa

Prima doccia e salita lungo la rampa elicoidale in fila per tre a ritmo di marcette militari a raggiungere la camerata, due file di lettini senza privacy, chiunque saliva per la rampa poteva guardare, solo i bagni e la camera della vigilatrice erano chiusi, i vestiti sono meno belli di quelli dati per la partenza da Torino, maglietta bianca, pantaloncini, sandali e il solito berretto alla marinara.

La rampa elicoidale

La vita della colonia era rigidamente scandita: dopo la sveglia alle 8 i bambini rifacevano il letto, poi seguiva la pulizia e lavaggio personali (anche le necessita fisiologiche erano a comando), la colazione, il rito dell’alzabandiera, infine ci si recava in spiaggia a squadre sempre in fila per tre. Poco tempo al sole e molto di più all’ombra.

L’alzabandiera

Nelle belle giornate è previsto il bagno. Unanime è il giudizio negativo su questo momento che si svolge per pochi minuti, sotto il vigile sguardo degli assistenti e rigorosamente all’interno delle corde, guai a chi usciva fuori. Bagni di pochi minuti solo la mattina indossando un bruttissimo costume blu di lana, in un metro quadrato di mare. Il senso di libertà che provoca il gioco fra le onde è frustrato non solo dallo scarso tempo passato in acqua, ma anche dalla rigida disciplina che lo regola. Un fischio, e partiva allora, all’unisono, un urlo liberatorio di tutti i bambini e la nostra corsa forsennata, infine liberi, verso le onde che ci attiravano irresistibilmente. Mi ricordo che guardavamo con invidia i bambini che erano andati al mare con le loro mamme perché, contrariamente a noi, potevano fare tutto quello che volevano, specialmente in acqua. In caso di mare mosso ci portavano a fare il bagno in piscina ancora più ristretta.

Anno 1957 la mia squadra

Dopo il bagno, l’esposizione al sole: di pancia, di schiena o sui fianchi, a seconda del comando delle vigilatrici. Cambio indumenti sulla spiaggia in cerchio davanti a tutti. Poi seduti a braccia conserte come sempre.

Poi arriva l’ora di pranzo nel grande refettorio tutti seduti senza gomiti sul tavolo eri obbligato a mangiare tutto con un solo bicchiere d’acqua, mi ricordo di aver patito molto la sete. Poi il riposo in camerata, le attività pomeridiane riprendono con la distribuzione della merenda.Il pomeriggio prosegue con marce in pineta, giochi di squadra e ginnastica.

Anno 1959 la mia squadra

Una volta o due al mese ci veniva data una cartolina postale per rassicurare le famiglie e per manifestare ai genitori l’idea di un soggiorno all’insegna della salute fisica e mentale e che “stiamo tutti bene”. Tuttavia, la realtà era assai diversa. Le vigilatrici infatti erano molto attente a non far trasparire dalle cartoline stati d’ansia e nostalgia. I regolamenti penso prevedessero la censura nella posta in arrivo e in partenza. Se un bambino scrive la parola “nostalgia”, viene immediatamente censurata. Ci venivano suggerite frasi del tipo: sono felice, tutto è bello, si mangia bene, ecc. Rari e sempre sotto il controllo delle vigilatrici erano i contatti dei bambini con il mondo esterno.

In colonia era vietato portare denaro, solo qualche moneta consegnata alle vigilatrici per comperare a fine turno un souvenir in conchiglia da portare a casa in ricordo del soggiorno.

A partire dalla fine degli anni Sessanta l’idea delle colonie Fiat inizia ad andare in crisi. Il declino incomincia quando il modello culturale che le ha ispirate entra in conflitto con la sensibilità collettiva. Più precisamente la fine è iniziata con il boom economico, le famiglie in Seicento che pendolavano verso il mare senza più il bisogno di spedire i figli lontano “a respirare iodio” o “a stimolare la fame” di ragazzini rachitici che sarebbero tornati sani e forti. Le famiglie aspirano a organizzarsi le vacanze in modo autonomo. Arrivano poi gli anni di lotta e nell’aria si respira il rifiuto della “divisa” e di uniformarsi al volere aziendale. La vacanza offerta dalla fabbrica diviene così oggetto di contestazione durante gli anni dei conflitti sociali. Nel frattempo, anche l’azienda cambia le sue politiche di welfare e la Fiat smette di gestire direttamente le colonie.

La colonia estiva per me bambino era una scoperta ed era anche una sofferenza. La vacanza in colonia Fiat poteva essere evasione e poteva essere prigionia. Il primo lungo viaggio senza i genitori, un addio alla casa, alle care abitudini, ai compagni di gioco e senza possibilità di contatto, con coetanei ma sconosciuti, con una disciplina che definirei quasi da caserma, ma sempre un ricordo di altri tempi da conservare.

Gianni Cordola

Gianni Cordola in colonia Fiat
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