Torino, una città al centro di una conca compresa tra le montagne e la collina con vie rettilinee dagli sfondi panoramici. A Torino abbiamo le montagne al fondo delle vie, anche le vie più brevi sembrano sovrastate dai monti che appaiono al di sopra dei tetti delle case. Una di queste è via Garibaldi: chi entra nella via dalla piazza Castello con tempo sereno, non è attratto dalla sequenza delle facciate delle case, su cui lo sguardo scivola dal cornicione al marciapiede, ma in fondo al rettilineo dalla gigantesca mole con cima quasi pianeggiante del monte Civrari, con dietro la Croce Rossa e la Punta d’Arnas, innevate.
Questa via ancora chiamata “contrada di Doragrossa” nel secondo Ottocento è lunga circa 1050 metri e collega piazza Castello con la piazza dello Statuto. La via era la strada principale della Torino antica ed era tortuosa, stretta (larga dai 4 ai 5 metri) ed irregolare finché un regio Editto di Carlo Emanuele III (1701-1773) del 27 giugno 1736 sancì il riallineamento degli edifici della via ed il suo allargamento. Il riallineamento terminò nel 1801 con la demolizione dell’antica torre civica all’angolo con via San Francesco d’Assisi, al piede della quale era posta la pietra del vituperio dove i debitori insolventi calate le braghe venivano fatti cadere da una considerevole altezza battendo il sedere nudo sulla pietra.
Proviamo a ripercorrere la storia della principale via della Torino antica. Già nella Torino di fondazione romana esisteva l’attuale via Garibaldi col nome di “decumano massimo” (asse rettore), arteria urbana principale di attraversamento della città in direzione est-ovest dalla porta Fibellona o Praetoria (oggi inglobata nel palazzo Madama) sino alla Porta Susina o Decumana (all’altezza dell’attuale via della Consolata), percorsa da un capo all’altro da una bealera. Nel 1375 la Città che aveva circa 7.000 abitanti decide di avere un nuovo palazzo comunale acquistando da un mercante una casa attigua alla futura contrada Doragrossa (all’angolo con l’attuale via San Francesco d’Assisi) e nel 1379 di innalzare una torre civica al posto di una struttura preesistente. All’inizio del Quattrocento la strada diventa residenza nobiliare e sede delle istituzioni civili e religiose cittadine tra le quali figura l’Università con vicino il “vicolo dei librai”. Nel 1437, il comune ordina ai proprietari delle case di selciare a proprie spese il tratto di strada antistante. Nel 1472 il comune abbandona la sede che occupa e si trasferisce nella più commerciale piazza delle Erbe sede del mercato alimentare acquistando il palazzo Scrivandi.
Nel 1563 il duca Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580) trasferisce la capitale del ducato Sabaudo da Chambéry a Torino e nel 1575 dotò la via di un canaletto d’acqua permanente, deviato fuori le mura dalla Dora Riparia per “ragione di pubblica politezza” che si scaricava nel fossato del Castello oltre i bastioni verso Po, e la via da allora si chiamò “contrada Doragrossa”, in quel periodo Torino aveva circa 20.000 abitanti.
Nel Seicento è ampliata la piazza Castello, aperta la “contrada Nuova” (attuale via Roma) sul fondale del palazzo ancora Ducale, e creata la via di Po sulla vecchia “strada della calce” avente per sfondo la facciata a est del Castello, quando il Juvarra creava a ponente di esso la nuova facciata che lo completava e lo trasformava in Palazzo Madama Reale.
La contrada Doragrossa, stretta e tortuosa, non costituiva certo prospettiva degna di tale sfondo per chi guardasse dalla loggia del nuovo scalone. Esistevano allora sulla fronte della via case di varie forme e altezze risalenti al medioevo fatte sugli allineamenti del Decumano romano in parte dotate di portici. Esisteva la torre del Comune e già abbellivano la via Doragrossa le facciate delle Chiese di San Dalmazzo, della Trinità e dei SS. Martiri, disposte su piazzette arretrate rispetto al filo della via, così che quando fu deciso l’ampliamento della stessa questo non fu di pregiudizio alla loro conservazione.
L’editto del 1736 e le disposizioni esecutive redatte nel 1739 dal Primo Architetto Regio Benedetto Alfieri (1699-1767) a sua integrazione danno inizio al processo, definito di “grossazione”, di accorpamento di più cellule preesistenti ancora di impianto medievale, che vengono demolite per fabbricare il più moderno e redditizio tipo della casa d’affitto, di maggiore densità edilizia e di più razionale impianto architettonico. Vengono prescritti un’altezza di cornicione uniforme con cinque piani fuori terra e l’allineamento delle facciate, che possono differire nei particolari decorativi, ma devono risultare unitarie isolato per isolato: i nuovi palazzi da reddito si connotano per la presenza di botteghe al piano terra e da quattro piani sovrastanti su via destinati ad alloggi da locazione. Gli edifici furono quasi tutti completamente ricostruiti sullo stile Juvarriano portando la strada ad una larghezza di 11 metri. La ricostruzione della via durò complessivamente 22 anni. La Torre del Comune che costituiva l’ultimo ostacolo all’allargamento della via fu abbattuta nel 1801 per decreto del Governo Provvisorio Francese. Sin dal 1786 si era dato mano a porre le fondamenta della nuova torre Comunale che doveva sorgere all’angolo della contrada d’Italia (via Milano) con la via delle Patte (via Corte d’Appello), ma solo la parte corrispondente all’altezza del palazzo Municipale fu eseguita in rustico, così come si vede tuttora.
Nel 1830 la via fu dotata nuovamente di un canale sotterraneo diviso in due parti: per gli scarichi bianchi la parte superiore e per quelli neri la parte inferiore. Nel 1843 i marciapiedi furono abbassati a livello del piano stradale per consentire ai carri la sosta laterale senza arrecare pregiudizio a quelli transitanti e nel 1846 fu dotata di illuminazione a gas ed iniziarono le prime corse degli Omnibus gli antenati dei tram, i quali erano carrozze trainate da cavalli senza rotaie. Nei mesi freddi erano chiusi e venivano chiamati “tranvai”, mentre d’estate erano aperti. Nel 1864 la via Doragrossa aveva il suo completamento con la costruzione dei due ultimi isolati, con portici, tra i corsi Palestro e Valdocco e la piazza dello Statuto costituendo con la piazza stessa un nuovo complesso unitario secondo la migliore tradizione Torinese. Verso la fine dell’Ottocento la strada era percorsa dalla linea di tram a cavalli su rotaia.
Durante l’ultima guerra 1940-45 tre isolati venivano distrutti, ma nella ricostruzione le altezze stabilite dal Regio Editto 27 giugno 1736 vennero rispettate. Mantenne il nome Doragrossa per oltre tre secoli, fino a quando alla morte di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) il Consiglio Comunale di Torino a ricordo dell’eroe del risorgimento italiano decise di intitolargli la predetta via. Negli anni 70 la via Garibaldi era percorsa da 3 linee tranviarie, il n. 3, il n. 4 ed il n. 6 (a Torino è abitudine chiamare le linee del tram al maschile), dal 1978 la via è diventata pedonale.
Gianni Cordola