Le botteghe di una volta

Non sono di buona memoria ma mi piace pensare di essere un aiuto nel ricordo delle botteghe, che ai tempi furono per molti anni, un vero e proprio presidio del territorio, fiorente attività, nonché punto di riferimento per le famiglie di contadini e montanari di tutto il paese.

Negli anni cinquanta del secolo scorso, a Condove la vita si svolgeva principalmente all’interno del paese, dove ci si conosceva tutti, tanto che molte famiglie venivano identificate con soprannomi spesse volte stravaganti, legati a caratteristiche somatiche o comportamentali del capostipite. Attorno alla piazza e nelle vie adiacenti c’erano il Comune, le scuole, l’asilo, l’ufficio postale, la Cassa di Risparmio, la Chiesa, il cinema e tante botteghe: la ferramenta di Alpe, il tabacchino delle sorelle Della Valle, la cartoleria, l’alleanza cooperativa torinese, le macellerie di Chiariglione e Benetto, la panetteria di Votta, il calzolaio, il barbiere, la merceria, la farmacia e poi tante osterie e la Bocciofila.

Nelle botteghe alimentari i prodotti in vendita non erano confezionati bensì si vendevano sfusi. Si vendeva di tutto un po’, poco ma di tutto. Si poteva acquistare al dettaglio: due etti d’olio di semi (era contenuto in fusti e al momento della vendita veniva versato nella bottiglia di vetro portata dal cliente) , quattro acciughe, un cavolo, due etti di pastina per la minestra o un chilo di riso, una bottiglia di candeggina, un sapone di Marsiglia, un pacchetto di olandese (surrogato per scurire il caffè fatto in casseruola), mezzo chilo di zucchero avvolto nella carta blu; o prendere dal mastello le mele ruggine o le mele in composta. La pasta era contenuta in cassetti e quando un cliente la voleva comprare il bottegaio la pesava e la incartava in un foglio dal tipico colore giallo ocra. Il droghiere è un po’ farmacista, per questo si potevano anche acquistare dei fiori di tiglio, malva, camomilla, chiodi di garofano, pepe, miele e altre erbe e spezie. Anche le caramelle non mancavano: mentine o pasticche (liquirizia e fiori di acacia) erano sempre sul bancone, per la gioia dei bambini. C’era il bottegaio più economico, quello che vendeva a “bon pat” (a buon mercato) ed anche quello che faceva “bon pèis” (buon peso) e quello che “at ciolava al pèis” (ti fregava al peso).

Man mano che si aprivano le porte, si sentiva l’odore del cuoio modellato da maestri calzolai, l’odore di mortadella e di salumi vari, di tome e burro. Sentiamo l’odore del legno e delle vernici nella bottega del falegname. Sentiamo nel negozio di ferramenta l’odore di petrolio, che serviva ad alimentare quelle vere e proprie opere d’arte che erano i lumi a petrolio, ancora molto in uso nelle borgate di montagna e negli alpeggi per l’illuminazione delle case.

Le botteghe rappresentavano il momento di incontro quotidiano dove risuonava solo il dialetto, due chiacchiere, uno scambio di informazione o, meglio, un aggiornamento su quanto era accaduto nei dintorni, una o più tappe obbligate nel percorso della giornata. Erano dei veri e propri centri da cui si apprendevano, e diramavano, notizie su fatti e persone del paese e dove, se fossero passati stranieri o, meglio,“forestieri” (appellativo con cui i Condovesi definivano tutti gli sconosciuti provenienti da altri paesi) non sarebbero, di certo, passati inosservati.

Le botteghe erano, inoltre, luoghi di confidenze, che vanno ben oltre il semplice pettegolezzo, che spaziavano dai consigli su cosa cucinare a pranzo e cena fino a spingersi su terreni più ampie complessi come il suggerimento di ingredienti, qui siamo al confine con l’alchimia e la magia, con cui curare i malanni o ritrovare la felicità. Il bottegaio diventava, così,un vero e proprio confidente da cui ci si attendeva molto più che la vendita di prodotti.

E chi entrava in bottega, lo faceva anche per scambiare “quattro chiacchiere” con un amico oppure con un conoscente, c’era il cliente che comprava sempre lo stesso tipo di formaggio, la massaia che amava farsi consigliare sempre e solo dal negoziante dalla battuta sempre pronta. I titolari delle botteghe di una volta conoscevano a memoria le abitudini alimentari delle famiglie del paese che frequentavano quotidianamente il loro negozio da anni. Si viveva per davvero, a quei tempi, in una grande famiglia allargata.

Una quotidianità più semplice e, senza dubbio, meno pretenziosa di quella attuale, in cui le relazioni umane rivestivano ancora un ruolo importante, fondamentale. Perfino con i negozianti si tendeva ad instaurare un rapporto sincero, di fiducia reciproca, che sottendeva la certezza di un buon acquisto.

Poi, come dice l’antico proverbio, il pesce grande mangia quello più piccolo, e la magia è svanita in una nuvola di bolle, l’espandersi di super e ipermercati hanno quasi cancellato questo tipo di negozi così accoglienti e famigliari.

Gianni Cordola

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