Quando si andava alla “maròda”

Fino agli anni cinquanta del secolo scorso, tra le bravate di noi ragazzini in età di scuola dell’avviamento industriale (11 ÷ 14 anni) abitanti a Condove c’era quella di avventurarsi al di là dei confini del paese per “andé a la maròda come si diceva allora.

Ci trovavamo in piazza tutti con la bicicletta ed andavamo verso il Castello del Conte Verde (Castrum Capriarum) per raggiungere i terreni tra il paese di Caprie e Novaretto ai lati della strada Statale detta la Militare, area a quei tempi ricca di frutteti. Lasciate le biciclette in un posto sicuro ci si avventurava a piedi in silenzio verso gli alberi da frutto e razziavamo di tutto: ciliege, pere, pesche, prugne, mele, persino fragole e uva a seconda della stagione.

Frutti sovente ancora acerbi, da nascondere sotto la maglia, salvo perderne buona parte lungo la strada, dopo averli catturati con imprese memorabili nei frutteti degli altri. Compiaciuti e orgogliosi. Anche quelli che avevano in casa la stessa frutta, magari più matura. Era un gioco di squadra e di iniziazione. Si saliva di grado e di considerazione mostrando coraggio e abilità. Perché c’erano i muretti da scalare, le piante su cui arrampicarsi, e le inevitabili fughe per prati, sentieri e rive a raggiungere le biciclette e defilarsi senza farsi riconoscere, col derubato che ci inseguiva cinghia alla mano lanciando dei piccoli sassi. Obbligatorio saper fischiare per avvisare del pericolo i compagni ancora intenti alla razzia.

Non c’era malizia tuttavia in noi ragazzini che ci avventavamo nei frutteti dei paesi vicini per rubare una pesca o una mela. Solo il piacere di commettere una birichinata originata dalla voglia irrefrenabile di un frutto appena raccolto. Quella della “maròda” era a quei tempi, una marachella assolutamente perdonabile, persino dai contadini più burberi e severi, purché ovviamente la frutta razziata rimanesse in quantità contenute e i razziatori non avessero arrecato gravi danni alle piante o ai raccolti.

Ma cosa significa “maròda”? Vuol dire appropriarsi di qualcosa in un modo non proprio corretto. Per comprendere il significato, partiamo dalla parola “maròda” e dal verbo “marodé”, termini piemontesi che significano rispettivamente piccola razzia e rubare la frutta dagli alberi e sempre in piemontese“marodeur” è il ladruncolo. Questi termini piemontesi richiamano due corrispondenti vocaboli, uno della parlata francoprovenzale (dove maroda significa ladrocinio), e l’altro dalla francese (dove marauder significa predare, saccheggiare; e dove il maraud è la canaglia o vagabondo. Possiamo quindi ipotizzare che il termine piemontese derivi dall’antico francese “maraud”.

Gianni Cordola

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