Una curiosità della lingua piemontese sta nel modo di indicare le ore: per l’una, le due e le tre sia mattutine che pomeridiane, si usa la parola bòt, maschile, per le altre dalle quattro alle undici,la parola ore, femminile. Il bòt orario non è altro che il rintocco, o colpo, della campana: l’unico orologio che per secoli ha scandito il tempo del popolo.
L’origine del termine bòt come già detto deriva dal rintocco della campana, ma perché solo le prime tre ore vengono così chiamate e le altre no? Difficile rispondere, ci sono ipotesi che farebbero derivare il modo di indicare le ore alle abitudini della vita contadina in cui, com’è noto, ci si alza all’alba per lavorare nei campi e si fa una pausa nelle ore più calde della giornata (tra mezzogiorno e le tre) per riprendere nel pomeriggio fino a sera. Non so se l’origine è questa, ma non ne conosco altre.
Vediamo alcuni esempi in lingua piemontese:
Che ore sono? = che ora ch’a l’é?
È la mezza = a l’é mes bòt
È l’una = a l’é un bòt
Sono le due = a l’é doi bòt
Sono le due e mezza = a l’é doi bòt e mes
Sono le tre = a l’é tre bòt
Sono le quattro = a l’é quatr ore
Sono le quattro e mezza = a l’é quatr e mesa
Sono le undici = a l’é ondes ore
È mezzogiorno o sono le dodici = a l’é mesdì
È mezzanotte o sono le ventiquattro = a l’é mesaneuit
Per far capire che si tratta di un’ora del mattino, del pomeriggio, della sera o della notte si aggiunge:
ëd matin / dla matin, dël dòp-mesdì, ëd sèira, ëd neuit
Le diciotto = ses ore ‘d sèira,
Le sedici = quatr ore dël dòp-mesdì,
Le ventuno = neuv ore ‘d sèira,
Le due = doi bòt ëd neuit
Alle quindici e un quarto = a tre bòt e un quart dël dòp-mesdì
Mentre in italiano si dice: le due meno dieci, le quattro meno venti, etc. in piemontese si preferisce dire: des minute a doi bòt, vint minute a quatr ore etc. In piemontese si dice a l’é quatr ore, ma non “a l’é quatr ore e vint”: bisogna dire a l’é quatr e vint. Ricordiamoci che in piemontese “due” può essere maschile (doi) o femminile (doe). Nel caso ci si riferisca ad un intervallo di tempo, allora si usa sempre ore e mai bòt. Per arrivare ci vuole un’ora e mezza = Për rivé a-i va n’ora e mesa.
Alla domanda “Che ora a l’é?” Ai miei tempi le risposte per canzonare l’interlocutore erano due:
1) a l’é ora ch’it cate na mostra – 2) l’ora d’jer a st’ora!
Una curiosa locuzione è: dé ‘l bròd d’ondes ore, che pronunciata in un tono leggermente ironico ha significato di “brutta lezione ricevuta”. L’origine della stessa risalirebbe a quando nel regno sabaudo ancora esisteva la pena di morte che veniva eseguita al sabato mattina. L’ultimo pasto del condannato era una magra scodella di brodo, consumato intorno alle 11.
Orologio si può dire in vari modi ma mostra è il termine più comune per indicarlo (da taschino o da polso), ma non è l’unico. Un tempo, vecchi e grandi orologi da tasca, a volte assicurati con una catenella, erano chiamati per la loro forma rava (rapa) o siola (cipolla). Addirittura c’è chi usava termini come galanta ò pitocarda. Ci sono poi le sveglie, conosciute con il nome di dësvijarin, da dësvijé = svegliare. Orologi per campanili, torri ecc. si chiamano arleuri ò arlògi.
Gianni Cordola