C’era una volta il pranzo all’aperto di Pasquetta

Sto pensando a come ho trascorso da ragazzino a Condove (anni cinquanta del secolo scorso) il giorno di Pasquetta. Se anche voi siete della mia generazione, non più giovani per intenderci, certamente vi ricorderete con una punta di nostalgia di quel lunedì dell’Angelo che era per noi il giorno della scampagnata. Già nel mattino le vie che conducevano su nei castagneti in vicinanza della centrale idroelettrica della Moncenisio e così le mulattiere che portavano alle borgate montane, si animavano di gente festante: uomini e donne, giovani e anziani: intere famiglie che arrancavano sui ripidi sentieri portando grosse borse e sporte ripiene.

E con il passar del tempo le mulattiere si affollavano sempre più assumendo quasi l’aspetto di un pellegrinaggio simile a quello della festa del Collombardo. Così quella marea di gente saliva verso la montagna, accampandosi sui prati che si affacciavano lungo il cammino in vicinanza delle fontane di acqua fresca o di ruscelli. Nasceva in questo modo la più spontanea e cara festa campestre dei Condovesi.

Nell’aria luminosa della primavera, si sentivano le voci festanti di bambini e adulti, c’era allora un’armonia, un modo diverso d’essere, che nasceva forse da una vicinanza, da un incontro, vorrei dire da uno spirito paesano. C’era una maggiore disponibilità ad apprezzare le cose semplici, dovuta forse al fatto che poche erano le possibilità offerte da quei tempi. Bastava sedersi sull’erba, davanti ad una ruvida tovaglia che offriva fette di pane scuro, un piatto di acciughe al verde, l’immancabile toma nostrana, salame, uova sode, qualche fetta di polenta e un fiasco di Avanà il vino rosso locale, per ritrovare poi l’allegria e un nuovo gusto per la vita. Era l’occasione più propizia per quella che oggi si direbbe un’abbuffata, tale da costringere ad allentare la cintura dei pantaloni ed a sonnecchiare sotto un albero dopo il pranzo.

Anni 50 del secolo scorso, la Pasquetta in famiglia – il ragazzino è l’autore dell’articolo Gianni Cordola

L’automobile, che avrebbe cambiato tante abitudini, era ancora agli albori della sua diffusione, e non si pensava ad essa. Non era ancora giunto il caotico fine settimana fatto di caselli, di code snervanti e di autostrade, di ristoranti, di piatti e bicchieri di plastica. La montagna, a due passi dal paese, era ancora aperta e pulita, e limpido il cielo e più chiaro il sole e più vero l’avvento delle stagioni. La scampagnata di Pasquetta era più di una tradizione: pareva divenuta un rito. Così la giornata passava fra giochi e divertimento, mentre i bambini trascorrevano il tempo divertendosi con giochi semplici, gli adulti trascorrevano il pomeriggio chiacchierando del più e del meno, all’ombra di qualche albero. Il tutto, tempo permettendo, perché come sempre, in questo giorno, il tempo è sempre un po’ bizzarro.

A volte, facendo il confronto tra passato e presente, mi chiedo che cosa ricorderanno dei loro tempi i giovani d’oggi. Certamente non la nostra scampagnata di Pasquetta. Essi non hanno vissuto quel momento; non perché non vollero, ma perché non lo trovarono. Fu certamente colpa dei tempi che, offrendo nuove possibilità, promisero migliori occasioni di svago, ma fu anche colpa dell’uomo che, frastornato da tante novità, credette di emanciparsi fuggendo dalla semplicità di molte tradizioni; pensò d’essere più libero chiudendosi in se stesso, più moderno rifuggendo da quello spirito paesano che ancora lo legava al passato, alla gente, alla terra.

Una curiosità: come si calcola la data di Pasqua? In base alle norme dei Concilio di Nicea del 325 in cui venne stabilito che la Pasqua doveva essere celebrata da tutta la cristianità la prima domenica dopo la luna piena seguente l’equinozio di primavera. Inoltre nel 525 si stabilì che la data doveva trovarsi fra il 22 marzo e il 25 aprile. Oggi la data si calcola scientificamente, sulla base dell’equinozio di primavera e della luna piena, utilizzando per il computo il meridiano di Gerusalemme, luogo della morte e risurrezione di Cristo. E’ da notare come la data della Pasqua ortodossa non coincida con quella cattolica, perché la Chiesa ortodossa utilizza per il calcolo il calendario giuliano, anziché quello gregoriano. Pertanto, la Pasqua ortodossa cade circa una settimana dopo quella cattolica.

Gianni Cordola

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