Nella cultura popolare esistono parecchie superstizioni e credenze popolari legate agli animali, in gran parte tramandate dai tempi antichi. L’uomo è solito usare gli animali come simboli, il loro comportamento, la loro forza o anche il loro aspetto hanno dato vita a molte leggende, e la figura di animali in particolari circostanze è reputata causa di sventura o di malaugurio. O ancora, gli organi di alcuni animali vengono ricercati e conservati in gran cura come talismani contro sfortune di sorta.
Il gatto nero
Uno degli esseri viventi più venerato ed emblema della magia e dell’aldilà è il gatto. I Celti consideravano i gatti come i guardiani degli inferi, essendo animali misteriosi e silenziosi. Senza dubbio la loro agilità, il loro rapido apparire e quindi sparire come per magia accanto alla loro capacità di vedere al buio, grazie ai loro speciali occhi, ha contribuito a caratterizzare il gatto con toni soprannaturali. Si dice che conoscano i nostri sogni e che possano persino vedere fantasmi e spiriti. I montanari della Val di Susa pensavano che i gatti non fossero altro che le forme in cui le masche amavano trasformarsi. Le vicende delle masche erano l’argomento principale durante le veglie invernali ed il mondo montano è permeato di riferimenti alla superstizione di questi esseri in cui confluivano le caratteristiche delle streghe e dei fantasmi, ma anche quelle degli spiriti dispettosi, più che malvagi. È assurdo che qualcuno si preoccupi ancora quando un gatto nero attraversa la strada, eppure è una delle credenze più diffuse. Sembra tuttavia che l’associazione gatti neri con la sventura avesse origini piuttosto banali: i cavalli che trainavano le carrozze si spaventavano, di notte, per l’improvviso attraversamento di questi animali o l’apparizione dei loro occhi nel buio. Questo accadeva chiaramente perché il pelo nero rendeva difficile individuarli da una certa distanza.
Secondo le superstizioni, sentire l’ululato del cane è un cattivo presagio e che la persona più giovane della famiglia di quello che ha udito avrà una disgrazia. Si dice anche che avere un cagnolino nero tenga lontane le persone che fanno il malocchio o fattucchiere e che un pelo dello stesso, tenuto nel taschino, allontani i pericoli derivanti dall’uscire di casa il venerdì notte, quando diavoli e streghe sarebbero presumibilmente in agguato.
In montagna, si diceva alle persone di non uscire la notte poiché si credeva che pipistrelli si sarebbero attaccati ai loro capelli. Secondo alcune credenze, chi è colpito dall’escremento di un pipistrello è vulnerabile da parte delle streghe.
Nella cultura popolare la zampa sinistra essiccata di coniglio è ritenuta un portafortuna, oltre a ciò è anche simbolo di fertilità e di buon augurio per una famiglia numerosa.
La credenza che il canto della civetta sia un lugubre presagio di lutti e sventure affonda anch’essa le radici nel passato, quando i ritmi di vita erano scanditi dalla luce solare, essendo disponibili solo le candele al calare del buio. Si tendeva ad andare a letto, quindi, con la prima oscurità serale. Una delle poche eccezioni a questa routine erano le veglie funebri, quando le persone trascorrevano la notte sveglie nell’abitazione di un parente o conoscente defunto. Era quindi una delle poche occasioni in cui poteva capitare loro di ascoltare il verso di un animale notturno come la civetta. Il fatto che le case delle veglie funebri fossero illuminate per tutta la notte, poi, attirava intorno a esse insetti notturni, prede delle civette. Durante le veglie il tipico verso di questi uccelli poteva risuonare vicino alle abitazioni ed associato ai lamenti delle anime dei morti. Si dice che guardando all’interno del nido di una civetta il carattere possa cambiare diventando malinconico per il resto della vita.
L’uccello del malaugurio
Sarà capitato a tutti di sentir definire, anche scherzosamente, qualcuno “uccello del malaugurio” per accusarlo di portare sfortuna. Le origini di questa espressione, ormai più un modo di dire che il segno di una reale superstizione, si perdono nella notte dei tempi. Probabilmente risalgono alla credenza che alcuni uccelli, come la civetta del punto precedente, potessero preannunciare sventure. Quest’idea portò diverse culture popolari a ritenere che un uccello che entrava dentro un’abitazione lo facesse per portare un messaggio infausto.
Una superstizione contadina afferma che chi, all’inizio della primavera, sente per la prima volta il canto del cuculo con del denaro in tasca, è fortunato: avrà denaro in abbondanza per tutto l’anno. Ma se invece non ha niente…. Se si sente il cuculo in ottobre, quando questo uccello dovrebbe già essersi diretto verso i paesi più caldi, per lo sfortunato non vi sarebbe speranza e la sua vita finirebbe entro l’anno.
Un amuleto a forma di ape porta fortuna in affari a chi lo indossa, poiché l’ape è simbolo di intelligenza e perseveranza. Se un’ape entra in una stanza, annuncerà la visita di un buon amico portatore di affari redditizi.
La coccinella
L’idea che questo piccolo e grazioso insetto porti fortuna ha origini antichissime, tanto che è difficile capire quando sia nata esattamente. È possibile che l’aspetto della coccinella, particolarmente piacevole, abbia ispirato una spontanea associazione con un’idea di benevolenza e buona sorte. Da qui l’idea che la coccinella con le sette macchioline nere sia quella che può portare più fortuna.
Aquila
Da tempo immemorabile, questo uccello predatore è stato collegato al potere e alla vittoria, motivo per cui può essere visto in distintivi, scudi e persino bandiere di paesi.
Colomba
Alla colomba bianca sin dall’antichità è stato associato un intenso simbolismo comune a diverse epoche e culture. Il fatto che le colombe formino coppie stabili e fedeli, che durano tutta la vita, ha fatto di questi animali il simbolo ideale della fedeltà coniugale, del matrimonio e della fertilità. Oltre che ai matrimoni, le colombe vengono infatti tradizionalmente rilasciate anche ai funerali, a simbolizzare la speranza, il volo al cielo dell’anima salva, la fine delle preoccupazioni e degli affanni della vita terrena, la pace e l’eterno riposo.
Gianni Cordola