La vera storia di Gianduja (Giandoja ‘n lenga piemontèisa)
Gianduja è nato burattino, ma presto è divenuto maschera per assumere in seguito la veste di simbolo di Torino, del Piemonte e nel Risorgimento del sentimento unitario del popolo italiano. Vediamo in breve la sua storia. Gianduja ha più di due secoli di vita e per ritrovare le sue radici bisogna tornare indietro fino agli ultimi anni del ‘700.
A Torino, lavorava in piazza Castello un burattinaio all’epoca famoso, si chiamava Umberto Biancamano, ma per tutti era Gioanin dij osej. La tradizione vuole che fosse originario di Callianetto. Il burattino protagonista dei suoi lazzi comici era Gerolamo, “Gironi” in piemontese. In quegli stessi anni era a servizio a Torino il giovane Giovan Battista Sales, che imparata l’arte burattinaia proprio da Gioanin dij osej, parte da Torino in cerca di fortuna, essendo la “piazza” torinese già occupata dal maestro. Lo ritroviamo a Genova in società con un burattinaio di Racconigi tal Bellone. La città in quel periodo era sotto l’influenza francese. Infatti Napoleone, che aveva ristabilito la repubblica, aveva eletto il doge: Gerolamo Durazzo. Per Sales e Bellone che muovono un burattino che si chiama proprio Gerolamo, doveva essere stato un invito a nozze: dentro le baracche dei burattinai è sempre entrata la satira politica. Espulsi da Genova, Sales e Bellone per evitare di avere noie con la giustizia, furono costretti a cambiare il nome al protagonista dei loro spettacoli che da Gerolamo diventò Gioann con tricorno, codino e dotato di parlantina beffeggiante; la caratteristica di avere sempre con se la doja, un boccale di terracotta per bere il vino lo fece soprannominare “Gioann dla doja”, pur conservando le caratteristiche di Gerolamo, e così continuarono le recite nei centri minori.
Sales e Bellone sono ormai talmente padroni del mestiere da ideare spettacoli per essere rappresentati non nelle piazze, ma in teatri chiusi. Ritornano a Torino senza il timore di concorrenza. Siamo nel 1807, la maschera che muovono i due burattinai è di nuovo Gerolamo: è una scelta conveniente, perché Gironi è fortemente attestato in città grazie alla memoria di Gioanin dij osej. Ma proprio in quello stesso anno, il fratello minore di Napoleone, Gerolamo, viene incoronato re di Westfalia: pronunciare in teatro il nome di Gerolamo diventa nuovamente rischioso, troppo facilmente si può incappare nell’allusione caricaturale. E infatti in occasione di una rappresentazione l’intervento della polizia non si fa attendere e le conseguenze si annunciano pesanti. Sales chiede protezione alla potente famiglia in cui aveva servito da ragazzo, i conti Amico, e questi indirizzano i due burattinai a dei nobili di Castell’Alfero, i cui possedimenti comprendono proprio Callianetto, all’epoca ricca di boschi e quindi luogo ideale per rifugiarvisi.
In quell’ambiente verranno definite meglio le caratteristiche di Gioann dla doja (appellativo che presto fu condensato in Gianduja) e dal loro rifugio di Callianetto, in quello che da allora in poi sarà indicato come il Ciabòt ‘d Gianduja, Sales e Bellone decideranno di sostituire con la nuova maschera il troppo rischioso Gerolamo. Nasce cosi Gianduja, che nel suo nome ha la doja, il boccale, ma la sua nascita lambisce quella della coccarda tricolore che orgogliosamente farà, in seguito, sfoggio sul suo tricorno, dato che di lì a poco, Gianduja, sarà destinato a diventare una dei principali simboli del Risorgimento. Sales e Bellone tornano quindi a Torino nel 1808, e in un locale di via Dora grossa (l’odierna via Garibaldi) con la commedia “Le 99 disgrazie di Gianduja” presentano ufficialmente la nuova maschera al pubblico della capitale sabauda. I trionfi si susseguono e Gianduja giunge ad incarnare il più autentico spirito del popolo piemontese.
Dopo l’unità d’Italia, con la conseguente perdita della capitale da parte di Torino, Gianduja diventa l’emblema dei risorti carnevali torinesi. La sua immagine, si lega allora a quella del vino e delle varie galuperie dolciarie, quali il torrone e soprattutto il cioccolato, in linea con il nuovo ruolo di Torino, non più capitale politica, ma capitale manifatturiera.
Gianduja è furbo, coraggioso, magari finto tonto all’occasione, ma con ben chiaro in testa che cosa vuole, ha la faccia rotonda e pacioccona, la capigliatura raccolta in un codino girato all’insù con fiocco rosso, un neo sotto un occhio e sulla fronte dalla parte sinistra e naso un po’ rosso,il cappello a tricorno, il vestito è composto da una giubba color marrone bordata di rosso, il panciotto è giallo, i pantaloni verdi e lunghi sino al ginocchio, le calze sono rosse e le scarpe hanno una fibbia in ottone. La sua compagna è Giacometta, vestita con un abito rosso ed un grembiule bianco, un foulard verde al collo, un cappello legato con un nastro rosso, calze nere e scarpe chiare.
In quegli anni Gianduja comincia ad impersonare per gli italiani il Piemonte: è una maschera libera e democratica, non ha bisogno né di sottintesi né di inchinarsi ai padroni. Parla francamente e schietto al suo re. E’ la rappresentazione di un popolo, mentre le altre maschere non ne sono che la caricatura; più di una maschera egli è dunque un carattere. L’anima e il cuore di Torino continuano a pulsare sotto la giubba di Gianduja ed anno dopo anno il suo viso sorridente ed ottimista illumina la festa del Carnevale torinese ed è presente a commentare con la sua pungente bonomia i fatti più importanti della storia e del costume italiano, almeno fino al 1893. Si ha poi un lungo periodo di eclissi in cui Gianduja è una presenza occasionale e sempre meno incisiva e significativa . Nel maggio del 1925 nasce la Famija Turinèisa e con essa la maschera di Gianduja riprende la fila della tradizione risorgimentale ed ottocentesca. Nel 1957 nasce l’Associassion Piemontèisa – Compagnia Città di Torino per le tradizioni popolari piemontesi per iniziativa di Andrea Flamini che tuttora la dirige. Ha portato in Italia e all’estero sempre vestito come Gianduja, il folklore piemontese, facendone conoscere gli aspetti e le espressioni più autentiche.
Gian dij Cordòla (marzo 2013)