Coltivazione della segale ieri

Il clima della montagna Condovese, e specialmente di Laietto nella valle del Sessi, consentiva in passato prevalentemente la coltivazione di due tipi di cereali: la segale e l’orzo un tempo indispensabili per l’alimentazione della popolazione. Nel secondo dopoguerra, i campi coltivati a segale intorno alle borgate hanno lasciato il posto ai prati o sono stati invasi dai boschi circostanti.

La segale è il cereale più adattabile ai climi secchi e ai terreno poveri, germina rapidamente anche a basse temperature ed è idonea alle condizioni ambientali della montagna in quanto coltivabile fino a 1500 metri, inoltre garantisce una produzione apprezzabile di granaglie e di paglia. La semente vernina, cioè invernale, che aveva una resa maggiore e dava una farina più bianca, era seminata in genere in ottobre e si mieteva a fine luglio.

La segale

La preparazione del terreno doveva essere eseguita con cura i campi erano ripidi e la lavorazione avveniva a mano con l’uso della zappa, più adatta per i terreni pendenti, mentre la vanga era usata per i terreni più pianeggianti. La concimazione autunnale si effettuava con letame portato sul campo con la gerla o con la “lesa”, una slitta munita di cassone o di cesta e sparso con il forcone.

La semina avveniva manualmente spargendo i semi sulla terra rivoltata con l’accortezza di non gettarli troppo fitti altrimenti le piante non avrebbero potuto svilupparsi bene. Alla semina seguiva la ricopertura dei semi con un sottile strato di terra con la zappa. Allo spuntare delle prime pianticelle, con una zappetta, si estirpavano le erbacce infestanti come la gramigna.

Nella seconda metà di luglio, a seconda dell’andamento climatico e della esposizione dei campi, la segale ha lasciato il suo bel colore verde ed è diventata bionda con lunghe spighe cariche di chicchi, ed aspetta di essere falciata. L’attrezzo principale era la falce con il necessario corredo di cote e portacote che servivano ad affilarla. Bisognava alzarsi presto, le prime ore del giorno erano le più adatte e meno faticose. La mietitura veniva fatta a mano. Un uomo con la falce iniziava a tagliarne una striscia e una donna dietro di lui raccoglieva la segale facendone dei fasci legandoli con la stessa paglia di segale e lasciandoli sparsi nel campo.

La falce

A lavoro ultimato si raccoglievano questi fasci sistemandoli in piedi gli uni vicini agli altri a formare dei grossi covoni. Si lasciavano seccare nel campo per una quindicina di giorni e successivamente portati a casa riponendoli in un vecchio lenzuolo per evitare la dispersione dei chicchi. I covoni erano portati al riparo nella parte alta del fienile per facilitare l’arieggiamento. Il trasporto dal campo al fienile si faceva a spalla o con la “lesa”.

Quando i covoni erano completamente essiccati in autunno inoltrato si procedeva alla trebbiatura iniziando con la battitura per staccare i chicchi dalla spiga in uno spazio vicino al fienile accuratamente pulito. I fasci di segale si disponevano affiancati in doppia fila per facilitare la separazione della spiga. Questa operazione si svolgeva possibilmente prima del secondo taglio del fieno, al quale occorreva far posto nel fienile. I fasci venivano battuti o con due bastoncini uno per mano o con il correggiato. Quest’ultimo era composto da un lungo manico alla cui estremità è collegato con legacci di cuoio un legno di forma cilindrica somigliante ad un grosso mattarello. La battitura avveniva a ritmo cadenzato fino a quando i chicchi si fossero staccati da ogni spiga. La paglia rimasta veniva raccolta legata in fasci per essere poi adoperata come lettiera per gli animali nella stalla o anche come foraggio.

Battitura con correggiato

Successivamente si passava alla spulatura,cioè al distacco della pula, l’involucro che riveste il chicco, effettuata manualmente con il vaglio, un cesto di vimini con due manici, munito su tre lati di sponde rialzate per raccogliere il cereale e aperto sul davanti . Questa operazione doveva essere svolta all’aperto in presenza di una corrente d’aria: occorreva afferrare con forza i due manici del vaglio appoggiandolo al basso ventre e sollevarlo rapidamente per gettare il contenuto verso l’alto e raccoglierlo durante la caduta, mentre il vento ne asportava la pula. Il cereale dopo la trebbiatura doveva essere portato al mulino.

Il vaglio

La macinazione avveniva nei mulini azionati da ruote idrauliche, erano numerosi nella montagna Condovese, lungo il corso dei torrenti Gravio e Sessi e la loro attività era incessante e interrotta soltanto dalla scarsità di acqua nei mesi invernali. L’abbandono delle colture cerealicole, alcune alluvioni disastrose e una diversa canalizzazione delle acque hanno portato al progressivo abbandono dei vecchi mulini e al loro inevitabile degrado. L’acqua giungeva ai mulini attraverso un sistema di canalizzazione e cadeva sulla grande ruota. Il movimento rotatorio, impresso all’asse della ruota, metteva in moto una macina in pietra che ruotava sopra una fissa. La segale da macinare era contenuta in un imbuto di legno a forma di tronco di piramide rovesciata, che si trovava sopra la macina. Il mugnaio lavorava intensamente nei mesi autunnali e veniva pagato in natura con una parte della stessa farina macinata. La farina infine era portata al forno o venduta.

Gianni Cordola

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