Le patate ricche di idrati di carbonio, sali minerali, vitamine, acido folico e pantotenico, per le popolazioni di montagna si rivelarono una risorsa alimentare ed economica fondamentale. La Valle di Susa è nota per la qualità delle sue patate, in particolare quelle coltivate in montagna, dove la maturazione è più lenta e gli antiparassitari non sono necessari: le particolarità organolettiche acquisite a queste altitudini le rendono molto più saporite rispetto a quelle di pianura.
Fin dall’800 la qualità delle patate coltivate sulla montagna Condovese, in particolare sui territori degli ex Comuni di Mocchie e Frassinere, era riconosciuta in tutta la provincia di Torino e particolarmente sui mercati cittadini, dove i contadini si recavano regolarmente per la vendita. Pensate che nell’anno 1829 nel comune di Mocchie si producevano 6.000 rubbi di patate e in Frassinere 2.500 mentre Condove in pianura solamente 700; un rubbo di 25 libbre equivaleva a Kg 9,225. Oggi questa coltivazione continua ad essere diffusa e i produttori del posto la commercializzano a vari livelli.
Approfondiamo ora la sua coltivazione, percorrendo le varie fasi dalla semina alla raccolta come si faceva nei tempi passati.
Per avere un terreno ottimale per la coltura delle patate occorreva portare il letame nei campi per una buona concimazione di fondo. La lavorazione del terreno per le patate doveva essere profonda, per offrire al momento della semina un suolo sciolto e drenante, per questo motivo si vangava affondando la lama fino ai 30/40 cm.
Le patate si seminavano in primavera quando le temperature medie arrivavano oltre i 15 gradi, ed in montagna questo avveniva tra la metà di aprile e i primi di maggio. Si seminava per file, distanziate di circa 70 cm l’una dall’altra. Si collocava una patata ogni 30 cm lungo ogni fila, interrata a 10 cm di profondità. Nella semina per talea si potevano usare patate intere, ma anche pezzi. Se la misura superava i 50 grammi si poteva dividere il tubero a spicchi per avere più semente. Nei lavori di campagna i montanari seguivano con attenzione le fasi della luna e le patate dovevano essere seminate non più tardi dei primi giorni dell’ultimo quarto di luna. La tradizione montanara consigliava di seminare tutti gli ortaggi che crescono al di sopra del terreno con luna crescente e con luna calante quelli che crescono sotto terra e le verdure con crescita a cespo.
Per coltivare le patate nel campo le accortezze da avere erano relativamente poche, in un suolo ben lavorato e ben concimato la coltura richiedeva irrigazione solo al bisogno. Il lavoro più importante durante la coltivazione era il rincalzo, che permetteva anche di eliminare la gran parte delle erbe infestanti.
La rincalzatura era utile, sia per mantenere soffice la terra, sia per proteggere i tuberi. Il primo rincalzo dopo circa 20 giorni dalla semina, il secondo rincalzo dopo un mese, distribuendo una concimazione prima dell’operazione di rincalzo. Si creava in questo modo un cumulo sulla pianta, che riparava i tuberi dal sole.
Le patate non richiedevano moltissima irrigazione, sono pianta resistenti e temevano anzi gli eccessi di acqua. In genere essendo i campi in pendenza si usava irrigare a scorrimento tra una fila e l’altra. L’acqua si riversava sul campo grazie a un fossetto adduttore orizzontale, posto a monte del campo, e scorreva sulla superficie da irrigare sotto forma di un velo sottile e uniforme per tutta la durata dell’adacquamento sino a raggiungere il grado di saturazione desiderato per il terreno. Il momento migliore per bagnare era il mattino presto, con temperature più fresche. I periodi in cui si richiedeva più acqua durante la coltivazione della patata erano quando comparivano i primi boccioli e poi alla fine della fioritura.
Normalmente la resa di prodotto in un campo di patate era di circa 4 kg di tuberi per metro quadro di terreno coltivato. Se si voleva le patate novelle occorreva raccoglierle quando la pianta era ancora verde, mentre le patate normali, adatte anche ad essere conservate, si raccoglievano una volta che la pianta si seccava ingiallendo completamente. Per capire quando era ora di raccogliere le patate i montanari estirpavano una pianta e strofinavano la buccia del tubero: se non si staccava facilmente vuol dire che era il momento di raccogliere le patate.
La raccolta avveniva usando uno zappone bidente, un arnese con due robusti denti di ferro e lungo manico di legno, sollevando la zolla di terra sotto la pianta e scovando tutti i tuberi formatisi in corrispondenza delle radici. Le patate si lasciavano asciugare qualche ora sul campo, poi si portavano nella cantina, dove venivano sistemate negli spazi loro riservati. Si conservavano al buio perché non producessero solanina, che le rendeva non commestibili. La presenza di eccessiva solanina si riconosceva dal colore verde che assumeva il tubero già dall’esterno.
Le patate trovano produzione in tutta la valle di Susa, ma particolarmente pregiate oltre a quelle di Mocchie e Frassinere sono quelle di Sauze d’Oulx, di Cesana Torinese, delle Ramats di Chiomonte e di Novalesa.
In montagna le varietà più adattabili alle condizioni climatiche erano e sono ancora: la piatlina, la patata del bur e la vitelotte noire.
Patata piatlina
Antica varietà autoctona delle vallate Occitane e Francoprovenzali del Piemonte. pezzatura media e forma tonda leggermente appiattita (da cui il nome), la pasta è bianca, di consistenza tenace e profumata. È ottima bollita e indicata per frittura.
Patata del bur
È detta anche patata del bec o ratte e le sue origini vanno ricercate Oltralpe, nel Lyonnais. Coltivata da tempo nelle vallate alpine è la più diffusa in tutto l’arco alpino piemontese, in particolare nelle valli che hanno uno sbocco oltralpe. Pezzatura piccola, forma allungata e leggermente ricurva (di qui il nome del bec), buccia sottile, color giallo paglierino, polpa morbida a grana finissima. Ha pelle talmente sottile che può essere sbucciata semplicemente fregandola tra le dita. Il sapore è delicato ed è ottima consumata con la buccia. È consigliata la cottura al vapore, al forno, bollita.
Patata viola o vitelotte noire o violette
Antica varietà di origine francese, ma coltivata anche sul versante italiano in Val Susa. La buccia e la pasta hanno un curioso colore blu-violetto, molto scuro, che si mantiene anche dopo la cottura. Ha forma tendenzialmente allungata, irregolare e bitorzoluta. Consigliata bollita e per vellutate, patatine fritte, purè e gnocchi. Ottima tra le verdure della bagna cauda. E non dimentichiamo l’effetto visivo, visto il suo colore viola, di cui i cuochi possono approfittare.
Gianni Cordola