Sentenza n. 89 del 17 aprile 1861 Nella causa di Paolo Versino contro il Comune e la Congregazione di Carità di Mocchie e contro Michele Cordola

Collezione delle sentenze della Corte di Cassazione del Regno

Sentenza n. 89 del 17 aprile 1861 – Nella causa in Cassazione di Paolo Versino (Avv. Gazzera) contro il Comune e la Congregazione di Carità di Mocchie e contro Michele Cordola (Avv. Chiapusso). Il Comune e la Congregazione di Carità di Mocchie, con verbale 17 ottobre 1858, fittavano a Michele Cordola di Lemie un’alpe, detta la Comba , che possedevano in società.

Il Cordola, pretendendo che Paolo Versino e G. B. Carnino di Lemie avessero nel luglio 1859 introdotto in quell’alpe il loro bestiame, e recatogli un danno di L. 280, convenne innanzi la giudicatura di Condove il Comune e la Congregazione di Mocchie, affinché facessero ai medesimi divieto di più oltre pascolare in quell’alpe.

E il Comune e la Congregazione di Mocchie, ottemperando all’istanza, convennero Paolo Versino e G. B. Carnino avanti la stessa giudicatura, e conchiusero per la manutenzione in possesso dell’alpe, per la inibizione ai convenuti di esercitare il pascolo sulla medesima e per la loro condanna nei danni proposti nella somma di L. 280.

Non comparvero ne il Versino, ne il Carnino; e perciò dichiarata la loro contumacia, il giudice di Condove, con sentenza 26 agosto 1859, li condannava all’indennità di ragione verso Michele Cordola e inibiva loro di più oltre esercitare l’indebito pascolo.

Questa sentenza veniva addì 9 settembre 1859 notificata a Paolo Versino, il quale appellò dalla stessa al Tribunale di Susa, dicendola a un tempo nulla e gravatoria.

Nell’atto conclusionale intervenne, per profittare dell’appello, anche G. B. Carnino; e fra i motivi di nullità si addusse: che l’alpe in questione era sul territorio di Lemie, e in Lemie abitavano il Versino e il Carnino, ne quindi potevano essere convenuti avanti al giudice di Condove; – che, come non poteva innanzi questo convenirli il Cordola, cosi ne meno il Comune e la Congregazione di Mocchie, che non avevano diversa azione da lui; – che non poteva il giudice essere competente per connessione di causa, dacchè nessuna unione erasi dichiarata, ne fatto istanza in questo riguardo; — che in ogni caso doveasi anzi tutto unire la causa de’ contumaci a quella dei comparsi e provvedere a norma dell’art. 81, Cod. proc. civ.; – che la notificazione della sentenza non fu eseguita dall’usciere di Condove in essa nominato, ma da quello di Viù, come ne pure sarebbe sottoscritta dall’usciere che disse averla fatta, il quale avrebbe soltanto sottoscritto l’autentica della copia del decreto di sua nomina fatta dal giudice di Viù. Quanto al gravame contestavasi il fatto, ed il Carnino in sua specialità osservava che il pascolo era stato esercitato da suo figlio, il quale era emancipato per atto 17 marzo 1859, che produsse.

Il Tribunale di Susa con sentenza 12 ottobre 1959, dichiarò non appellante il Carnino, confermò nel resto l’appellata Sentenza.

Paolo Versino propone ora i seguenti mezzi di cassazione:

1. Violazione dell’art. 575, Cod. proc. civ., il quale non parla d’interesse in solido, come suppose il Tribunale, ma bensì d’interesse comune; ciocchè appunto avveravasi nel caso speciale, trattandosi di un solo fatto, per cui il ricorrente e il Carnino furono condannati, unitamente e con un solo dispositivo, all’indennità verso il Cordola.

2. Violazione dell’art. 25, Codice suddetto, perché essendo controverso, se l’alpe sia nel territorio di Mocchie o in quello di Lemie, la competenza dipendeva dall’avveramento di questa circostanza.

3. Violazione dall’art. 81, Codice suddetto, che prescrive in genere, che quando fra più persone citate una si rende contumace, debbano unirsi le cause, e ciò senza distinguere se le cause si confondano o no.

4. Violazione dell’art. 1102, Codice suddetto, perché l’intimazione della sentenza contumaciale spettava all’usciere di Condove, non a quello di Viù, ed è dalla sentenza medesima escluso che il giudice di Viù fosse a ciò stato richiesto.

5. Violazione degli art. 48 e 69 dello stesso Codice, perché l’usciere non ha sottoscritto l’atto di notificazione.

6. Violazione dell’art. 8 al capoverso, perché non soltanto nel giudizio di opposizione, ma anche in quello d’appello si può rivenire sui fatti in forza della contumacia ammessi.

Rispondono i contro-ricorrenti:

1. Solo che avrebbe interesse a chiedere la cassazione di quel capo di sentenza che dichiarò non appellante il Carnino è il Carnino medesimo; non mai il Versino, a cui quel capo di sentenza punto non riguarda. Solo ricorrente invece è Paolo Versino. Oltracciò il giudizio ch’essi due non avessero un interesse comune e giudizio di fatto, non censurabile.

2. Tanto Michele Cordola, quanto il Comune e la Congregazione di Mocchie citando il Versino e il Carnino avanti al giudice di Condove, dissero situata l’alpe sul territorio di Mocchie, e il giudice attesa la contumacia dei citati, dovea ritenere il fatto qual fu esposto; ne il Tribunale potea prender riguardo alla dichiarazione fatta dal Versino nel giudizio d’appello che l’alpe fosse nel territorio di Lemie, – tanto meno che non ne fu data, ne offerta prova. Ad ogni modo anche qui il Tribunale avrebbe espresso un giudizio di mero fatto.

3. Michele Cordola avea citato il Comune e la Congregazione di carità di Mocchie, che comparvero; il Comune e la Congregazione alla lor volta citarono il Versino ed il Carnino, che si resero contumaci. Trattasi adunque di due citazioni distinte, non della citazione di più persone, di cui le une siano comparse, le altre no. E ad ogni modo l’osservanza dell’art. 81 non è prescritta sotto pena di nullità.

4. Essendo il Versino e il Carnino domiciliati a Viù, l’usciere di Condove non era abilitato a notificare loro la sentenza. Ne il Tribunale di Susa era chiamato a conoscere sulla regolarità della notificazione; anche non notificata, la sentenza doveva, se giusta, essere confermata dal Tribunale.

5. Dalle due copie lasciate al Carnino e al Versino, e da questo unite al ricorso, risulta che la notificazione fu sottoscritta dall’usciere. Del resto, anche questa irregolarità era estranea alla questione sottoposta al Tribunale.

6. Il Tribunale non dichiarò inappellabile la causa, ma esaminò il mento della sentenza, e trovatala giusta, la confermò. L’art. 573, che accorda all’appellante di fare nuove produzioni e deduzioni in appello, non ha applicazione se il fatto sia già accertato per ammissione tacita, come appunto nel caso di contumacia , e tanto meno nel caso presente, che il Versino, senza fare in appello alcuna deduzione o produzione, si limitò a negare i fatti già per effetto della sua contumacia legalmente accertati.

La Corte di cassazione, sentite, ecc. (Bussolino A. G. nelle sue conclusioni favorevoli alla domanda quanto al sesto mezzo, contrarie quanto ai primi cinque).

Visti gli articoli di legge dalle parti invocati.

Sul primo mezzo:

Attesochè il ricorso e la procura al medesimo unita fanno fede che ricorrente in cassazione contro la sentenza denunciata è il solo Paolo Versino;

Che G. B. Carnino, dichiarato non appellante, non interpose ricorso , e si è adunque acquietato alla sentenza;

Che, ciò stante, il Versino, come non ha interesse, non ha neppure veste per proporre la censura.

Sul secondo mezzo:

Attesochè il giudice di Mandamento giustamente ritenne, in contumacia dei citati Versino e Carnino, che l’alpe per cui si piatisce fosse situata nel territorio di Mocchie, come avevano esposto tanto Michele Cordola convenendo il Comune e la Congregazione di carità di Mocchie, quanto alla lor volta il Comune e la Congregazione, convenendo in giudizio il Versino ed il Carnino;

Che addusse bensì il Versino, in sede d’appello, essere l’alpe situata nel territorio di Lemie, ma nessuna prova avendo offerta della sua asserzione, non poteva il Tribunale disconoscere il fatto allegato avanti al giudice di Mandamento, e pronunciare la costui incompetenza;

Che quindi non fu violato l’art. 25 del cessato Codice di procedura civile.

Sul terzo mezzo:

Attesochè, a termini dell’art. 81 del cessato Codice di procedura civile, se tra due o più persone citate alcuna si rende contumace, è dovere dei giudici di pronunciare l‘unione della causa del contumace con quella del comparso, e di rinviare le parti ad altra udienza per la decisione del merito;

Che, ritenuto il fatto, non ha applicazione al caso l’articolo suddetto, perché si hanno due distinte citazioni, l’una ad istanza del Cordola contro il Comune e la Congregazione di carità di Mocchie, l’altra ad istanza del Comune e della Congregazione contro il Versino ed il Carnino; perché, essendo comparsi il Comune e la Congregazione, e cosi i soli citati dal Cordola, ed avendo egli sostanzialmente assunto le difese dello stesso Cordola, vestirono con questo la qualità di attori rimpetto al Versino e al Carnino; perché quindi, essendo questi ultimi, nella qualità di veri convenuti, rimasti entrambi contumaci, non era il caso di provvedere per la riunione della contumacia al merito, si invece di conoscere senz’altro in contumacia contro entrambi, a termini degli art. 78 e 79 del Codice di procedura civile;

Che perciò la pretesa violazione dell’art. 81 del Codice di procedura civile non sussiste.

Sul quarto mezzo:

Attesochè il Tribunale di Susa ebbe per regolare la notificazione della sentenza ai contumaci, essendo seguita per apposito decreto del giudice di Viù, il quale dovette necessariamente esserne richiesto da quello di Condove;

Che ad escludere la verità di un fatto dal Tribunale ammesso mal si ricorre a questa Corte suprema.

Sul quinto mezzo:

Attesochè non essendosi il Tribunale fatto carico dell’eccezione desunta dagli art. 69 e 48 del Codice di procedura civile, non per violazione di questi articoli poteva la sentenza essere denunciata, si piuttosto per violazione dell’art. 208 del Codice di procedura civile;

Che non sussistendo perciò il proposto mezzo di cassazione, inutile torna l’esame se e in quanto sia regolare la sottoscrizione dell‘usciere all’atto di notificazione unito al ricorso.

Sul sesto mezzo:

Visti gli art. 6, n. 1, 8 e 573 del cessato Codice di procedura civile.

Attesochè due rimedii offre la legge alla parte condannata in contumacia, l’opposizione, cioè, e l’appello;

Che l’insinuazione d’appello importa rinuncia al giudizio di opposizione (art. 241 del Codice di procedura civile);

Che, essendo il giudizio di opposizione in facoltà della parte, questa, appigliandosi invece al rimedio dell’appello, può usare tutti quei mezzi di difesa a cui avrebbe avuto diritto nel giudizio di opposizione;

Che se, ammessa l’opposizione, viene meno l’effetto giuridico della cosa giudicata in contumacia (art. 246 del Codice di procedura civile), altrettanto deve dirsi nel caso che il contumace prescelga la via dell’appello, tanto più che dalla legge (art. 573, Codice suddetto) gli sono espressamente consentite tutte quelle produzioni e deduzioni che reputasse utili a difesa della sua domanda;

Che perciò il Tribunale di Susa, dichiarando nella parte razionale della sentenza e ponendo a base del dispositivo che i fatti ammessi per veri in forza della corsa contumacia potevano essere efficacemente contraddetti soltanto in giudizio di opposizione, applicò falsamente le disposizioni di legge relative all’opposizione, e violò quelle che attribuiscono all’appellante il diritto di far valere in sede d’appello le proprie ragioni, come avrebbe fatto nel giudizio di opposizione.

Per questi motivi,

Rigettati i primi cinque mezzi, cassa pel sesto la sentenza, ecc.

Milano, 17 aprile 1861

Manno P. P. – Sighele Rel.

Questa voce è stata pubblicata in Arte e cultura, condove, Storia e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.