La montagna Condovese è ricchissima in tradizioni e leggende, ed a volte basta poco per far tornare alla memoria ricordi che conducono alle antiche credenze sparse fra i montanari intorno a un misterioso nome “Toumba ‘d Matolda”.
Tra il Collombardo e il Colle degli Astesiani troviamo la “Toumba ‘d Matolda”. Secondo una leggenda il nome sarebbe legato a una principessa longobarda, che qui avrebbe trovato sepoltura durante la fuga dei Longobardi dai Franchi. In verità il nome “toumba” indica una zona elevata tondeggiante e “Matolda” probabilmente è il soprannome di una famiglia Lemiese che anticamente sfruttava i pascoli. Infatti numerose sono le toumbe nelle zone circostanti: la toumba veja, la toumba dou preive, la toumba dou coumùn, la sagna toumba, ecc.
Nelle veglie invernali si raccontava che una donna Matolda di nobile famiglia e giovane sposa da poco tempo, seguì il marito sulla via faticosa della montagna, per salvarsi da nemici spietati, ma non è possibile sapere in quale epoca e per qual motivo avvenne quella fuga. Forse i giovani sposi cercavano uno scampo a causa delle lotte fra Longobardi e Franchi, o fuggivano dai Saraceni che devastavano la Valle di Susa e dovettero cercare la salvezza nella fuga? Non credo si troverà mai una risposta a queste domande, perché la sola memoria pur tanto incerta che ne resti di Matolda, dice solo che essa ed il marito fuggivano, e che smarrirono la via vicino al Collombardo.
Lassù, sia per la fatica del viaggio, sia perché Matolda cadde fra le rocce e si ferì a morte, non le fu possibile di continuare il faticoso viaggio, e soffrì una lunga agonia fra la solitudine delle montagne, che doveva in quei tempi essere spaventosa a causa degli estesi boschi. Forse Matolda nelle ore estreme capì che la morte stava arrivando, e per non rendere più acuto ancora il dolore dello sposo, non mosse lamento, ma pallida, ansimante, con la febbre negli occhi, non ebbe il coraggio di dargli un estremo addio, gli strinse invece forte la mano e si baciarono per l’ultima volta.
Di certo dovette essere triste l’ultima scena di quel dramma, che si svolse ad alta quota sulla montagna, mentre innanzi a quegli infelici svaniva ogni bene e la felicità terrena fuggiva lontano. Ma forse ancora nell’ultimo delirio Matolda più non vide le cime delle montagne, i boschi dalle ombre misteriose, e pensò ad un lontano castello ove era stata amata e felice, ne rivide le torri merlate, le strette scale e le finestre gotiche spalancate verso i cortili.
Mentre il freddo l’assiderava e la notte cominciava a mettere nuovo terrore fra le ombre dei boschi ed i fianchi delle montagne, ella rivide pure vasti saloni illuminati dalla luce tremolante delle torce e dalle fiamme dei ceppi accesi nei camini, o le passarono innanzi in un vertiginoso turbinio paggi e cavalieri, damigelle e trovatori, nobili alani e falchi dagli occhi accesi; poi anche il delirio fini per Matolda, e mentre dormiva dell’ultimo sonno fu sepolta sulla montagna. Rimase lassù lontano da ogni essere umano, da quanto aveva amato sulla terra, ed ella che non era stata distesa in mezzo ai ceri, sotto un soffitto di legno scolpito, ebbe d’inverno sulla terra che la coprì, una coltre candida come era stata la sua veste di sposa, e riposò sotto le stelle ed il cielo.
Forse lo spirito di Matolda si uni alle fate che vanno di notte sulle montagne, e passa ancora sui rododendri e stelle alpine del Collombardo e del Civrari, fra la Valle di Susa e quella di Viù, e la segue l’ombra dello sposo morto in altra terra, memore sempre del suo dolce affetto.
Col passar del tempo la storia di Matolda è dimenticata dai montanari, ma il suo nome è rimasto alla regione dove ella fu sepolta, e lo ricordino gli escursionisti che raggiungono il Collombardo, per cercare le vecchie memorie di guerre e l’incanto di un paesaggio sublime; se andranno verso l’alpe che porta il suo nome, raccolgano sui pascoli i fiori di montagna, questi sapranno narrare alle fervide fantasie, la leggenda della giovane sposa morta sulla montagna.
Gianni Cordola