Dopo il mercato

Il mercoledì, tutti lo sanno, è giorno che precede il giovedì, ma nella prima metà del secolo scorso per gli abitanti dei comuni di Mocchie e Frassinere era il giorno molto atteso del mercato settimanale a Condove. Nelle borgate e negli alpeggi la giornata del mercato incominciava a tutti gli effetti già nel tardo pomeriggio del giorno prima, non appena ultimati i lavori della stalla e della campagna. A quell’ora, si preparavano i prodotti da portare a valle: burro, tome, uova, patate e castagne sistemandoli nelle ceste. All’alba del mercoledì una moltitudine di persone scendeva dalla montagna a piedi o con asini e muli a vendere i loro prodotti sotto l’ala del mercato. Conclusi i loro piccoli commerci, con parte del ricavato, si rifornivano di quanto loro occorreva per tutta la settimana nelle botteghe o da altri commercianti. Questa frenetica attività terminava generalmente verso mezzogiorno quando il montanaro sistemate le provviste sul dorso dell’asino si avviava sulla strada del ritorno alle borgate. Il percorso per la montagna, sia salendo alle Fucine che alla Torretta, li portava a passare davanti l’osteria e tanti non si trattenevano dal fare una sosta che nelle intenzioni doveva essere breve.

A destra l'Osteria dei Fiori

A destra l’Osteria dei Fiori

L’osteria diventava allora il luogo di incontro dove, fino al primo pomeriggio, ci si divertiva con chiacchiere, canti e giochi, conditi da generose libagioni. La nostra storia, che è la storia di tutti i mercoledì di quei tempi lontani, si svolge nei locali dell’Osteria dei Fiori (l’òsto dij Fiorì) per farsi un “quartin” di quello buono e fumare “na sigala” in compagnia, molto frequentata e attiva con quel nome fino a non molti anni or sono. Se lo si preferisce, la stessa scena può tuttavia essere legittimamente immaginata in qualsiasi analogo locale del paese. All’interno, nell’atmosfera fumosa e pesante derivante dal numero di persone presenti, ma soprattutto dal fumo dei toscani e dalle esalazioni del vino, alcuni montanari e pastori preso posto attorno al tavolo e ordinato il litro di vino (primo, ma non sempre unico del pomeriggio) si stavano comunicando le novità della settimana. Altri, poco più in là, alla presenza di un piccolo pubblico di attenti spettatori, si cimentavano nel rumoroso gioco della morra, formalmente vietato ma regolarmente praticato. I due giocatori in lizza abbassavano la mano destra con ampi, ritmici e concitati movimenti, esibendo un numero di dita ciascuno, la cui somma avrebbe dato il numero di riferimento per le scommesse. Contemporaneamente entrambi dichiaravano a voce gridata la propria puntata. Subito dopo registravano in modo palese la somma dei punti conseguiti con le dita della mano sinistra. Chi perdeva usciva dal gioco e un altro degli astanti gli subentrava. Altri ancora, ai tavoli, giocavano a carte in un’apparente concentrazione, quasi mistica, disturbata ma non impedita dal vociare altrui. Il mercoledì nell’osteria si parlava o gridava in “patois” la lingua parlata in tutte le borgate di Mocchie e frequenti erano i canti. Emergeva una quotidianità fatta di muli, asini, di fiaschi di vino, di grandi bevute di canti intorno al fuoco, ma anche una grande umanità. Si cantavano canti popolari che mettono in risalto l’Alpino, e quindi il montanaro, come un buon bevitore di vino per rallegrare lo spirito.

asino legatoAll’esterno, i muli che appena arrivati si erano abbeverati alla fontana di fronte all’osteria, riposavano, legati agli appositi anelli infissi nel muro, ancora bardati. Con qualche manciata di biada in un sacco di tela appeso sotto al muso o più spesso semplicemente con un mucchio di fieno a disposizione per terra aspettavano pazientemente, sonnacchiosi, il ritorno del padrone, difendendosi dalle mosche con i movimenti della coda, con lo scuotimento della testa e con qualche zampata a vuoto. Tutti (uomini e muli) sarebbero ripartiti entro il pomeriggio, per l’alpe, ma al momento, per gli uomini come per le bestie, era tempo di riposo. A metà pomeriggio come spesso accadeva, qualcuno era ben avviato verso una delle epiche e congeniali sbronze, fortunatamente se il padrone aveva bevuto più del solito e si addormentava sull’asino, non c’era alcun pericolo: l’asino, con il suo istinto, tornava alla stalla.

Osteria dei Giagli – anno 1940

L’osteria dei Fiori non era l’unica tappa per i montanari di ritorno del mercato: chi saliva verso Mocchie faceva un’altra sosta all’osteria dei Giagli, la famosa “trassa ‘d Batista” dove mangiava pane e toma con un buon bicchiere di vino.

Per chi saliva oltre Pratobotrile la seconda tappa era la cantina del Laietto “la cantin-a ‘d Gildo”.

Osteria di Gildo

Qualche volta i famigliari al calar della sera non vedendo tornare chi era sceso al mercato scendevano per la mulattiera a cercare il ritardatario appisolatosi magari sotto un albero.

fontana fiori

La fontana lavatoio dei Fiori

Per la mia famiglia abitante nella contrada dei Fiori era storia di tutti i mercoledì e quante raccomandazioni ci dava la mamma quando ci mandava alla fontana coi secchi a prendere l’acqua: evitate di passare vicino ai muli ed asini legati fuori dell’osteria, succede spesso che le bestie magari innervosite scalcino i malcapitati troppo vicini ai loro zoccoli. La fontana con lavatoio era proprio davanti all’osteria dei Fiori con un grande e profumato glicine che la incorniciava, vi si abbeveravano gli animali e si lavavano i panni. Ai ragazzi toccava il compito di portare i secchi d’acqua in casa più di una volta al giorno, uno spaccato di vita che non tornerà mai più.

Gianni Cordola

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