Soprannomi a Laietto e dintorni

JË STRANÒM

A Laietto nell’anno 1830 la popolazione della parrocchia comprendente oltre Laietto le borgate Pratobotrile, Coindo inferiore e superiore, Sigliodo inferiore e superiore, Camporossetto, Chiandone, Muni, Mianda, Brera, Breri, Cascina e Vagera era di circa 511 persone. I cognomi in uso erano Anselmetto, Bonaudo, Borgis, Chiampo, Cinato, Cordola, Falco, Garnero, Giuglard, Liay, Martin, Miglia, Pautasso, Pettigiani, Rocci, Vercellino e Versino. I nomi di battesimo più ricorrenti erano per le femmine Maria, Domenica, Anna, Margherita, Angela, Maddalena, Caterina, Barbara, Giacinta e Marianna. Per i maschi Giovanni, Giuseppe, Antonio, Battista, Francesco, Pietro, Carlo, Michele, Stefano e Angelo . Inoltre i cognomi Pettigiani, Vercellino e Cordola appartenevano complessivamente a quasi un quarto della popolazione. Spesso ai neonati nel battesimo venivano dati tre nomi: quello del nonno paterno, quello del padrino ed un terzo che era quello di uso corrente, contribuendo a tramandare gli stessi nomi alle generazioni successive.

Queste note statistiche ed onomastiche sono indicative per capire la difficoltà di identificazione esistente nei tempi passati nelle nostre borgate, sia per questioni giuridiche (stato civile, diritto di proprietà ecc.) sia nella vita comunitaria di tutti i giorni.

Per rimediare, si faceva uso dei “rami familiari” alla “ràssa”(stirpe), ogni famiglia aveva uno stranome o soprannome (quasi sempre in lingua francoprovenzale, qualche volta in piemontese e in tempi più recenti anche in italiano) derivato da quello affibbiato al capo stipite, con impertinente riferimento ai suoi caratteri fisici, alla mentalità, alla professione, alla vita militare, al luogo di abitazione o da uno strafalcione detto da piccolo. Quando la famiglia si allargava, per motivi pratici di distinzione tra i vari rami che portavano lo stesso cognome, si usavano nuovi stranòm, dati singolarmente ad alcuni dei suoi componenti, sempre con lo stesso spirito ironico, che, sappiamo, non difettava di certo ai nostri compaesani. Questa sommaria spiegazione dell’origine degli “stranòm” non ha alcuna pretesa scientifica, anche perché ogni appellativo aveva una sua storia particolare.

Alcuni esempi:

  • mio nonno paterno Cordola Giovanni (1862-1946) era detto “Djàn dla bèrdzera” perché aveva comprato un prato detto “dla bèrdzera”, mio padre Anselmo Firmino (1903-1970) quindi era “Firminou dou Djàn dla bèrdzera”.
  • mio nonno materno Pautasso Giovanni Battista (1879-1958) era “Batita dou Vrieun” poi diventato “dou Ieun” perché discendente di Pautasso Valeriano (1811-1900).
  • il fratellastro di mio padre Garnero Antonio Massimo (classe 1885) era detto “Mièn dou moutchot” (si racconta che il padre Giovanni quando era militare alla domanda da dove vieni rispondesse “da Motse” e da lì per via della piccola statura diventò “d Moutchot”).
  • La famiglia di Versino Angelo miei vicini di casa alla borgata Fiori di Condove erano detti “d Micoulà” (di Nicolao) per distinguerli da altri Versino.
  • Un altro Versino Mario era chiamato “ou camiset”.
  • Versino Ferdinando era detto “ou meizinòour” perché sapeva curare le distorsioni nonostante facesse “Lou Tchabatin”.
  • Versino Giuseppe (figlio del Ferdinando precedente) era detto “bimbo”.
  • Una famiglia di Pettigiani era detta “d li Medrel” (perché un antenato di magra corporatura era velocissimo nel lavorare i campi (lèst ‘mè ‘n medrel) e lo chiamarono “Medrel” che è un uccellino piccolo: il fringuello con zampe lunghe e robuste che una leggenda celtica vuole abbia battuto l’aquila in una gara a chi saliva più in alto nel cielo).
  • La famiglia di Pettigiani Clemente era detta “couj dou bòrgnou” (quelli del cieco) probabilmente perché un loro antenato ci vedeva poco.
  • Pettigiani Maria, Riccardo, Guglielmo, Aldo e Ines erano detti “couj dou Founsou” perché il padre o il nonno si chiamava Alfonso.
  • Una cugina di Margaira Maria Angela residente a Sant’Ambrogio era detta “Nina dla béra” e la béra è uno scoiattolo, anche Chiampo Angelino era detto “Gilin dla béra”.
  • Il padre della nonna di Piera Pettigiani era detto “dla counda” penso da Gioconda (famosi per la forza che avevano nelle braccia).
  • Una famiglia Giuglard dei Magnotti era detta “dou mère” (del sindaco) perché un loro antenato era stato sindaco di un paesino in Francia (in francese sindaco=maire).
  • Listello Mario era detto “Mario dla rata” perché un antenato ad una festa di paese forse Mocchie dove era stato fatto il palo della cuccagna ben unto di grasso, aspettò che tutti i giovani provassero a salire e quindi coi loro pantaloni pulissero il grasso, da buon ultimo salì velocemente come un ratto (lèst ‘mè ‘n rat) e conquisto il premio; da lì diventò “lou rat” e i discendenti “dla rata”.
  • Giuglard Pietro era detto “Pèrou dla hoca” perché lavorava gli zoccoli in legno.
  • Borgis Rinaldo era detto “Lou Tchabatin”, quindi i figli erano “Dou Tchabatin”.
  • Anselmetto Clementino era detto “Lou dzouou” (il giovane).
  • Anselmetto Mario della Brera era detto “Cetchegep”; questo è un caso particolare dove per indicare in modo certo una persona si unisce il nome del padre conservando quello del nonno o di altro famigliare quindi i nomi in questione erano Francesco (Cetch) e Giuseppe (Gep) Anselmetti e dall’unione dei loro nomi è nato il soprannome.
  • Un Borla era chiamato “Pierin d Matè Cetch”.
  • Una famiglia Gagnor era individuata come “viva chi ch’a n’han”.
  • I Martin di Camporossetto erano chiamati “Louràn”.
  • I Carnino di Lemie  con pascoli nella montagna Condovese erano detti “Batòcc” oppure anche “Matolda”.
  • Falco Stefano era detto “lou fin”, a causa della sua magrezza.
  • Pautasso Alessio era detto “Lou Dèrboun” (perché andava a messa sempre con una giacca nera).
  • Pautasso Camillo era chiamato “Milo ëd clëtta”
  • Cinato Giorgio era detto “Dou Mariou dla richeta” (di Mario Cinato figlio di Enrichetta Pettigiani).
  • Croce Andrea dei Giagli era detto “Dreja Biron” ; il “biron” è un cavicchio, piccolo legno aguzzo che si pianta nel terreno.
  • Col Luigi di Gazzina era chiamato “Louis Mejne”.
  • I componenti di una famiglia Senor erano detti “couj dou pì crin”
  • I Rocci di Campo dell’Alpe erano detti “Sanbianc”.
  • I Rocci della Rocca erano detti “I Puligna”.
  • Rocci Enrico della Fornacchia era detto “Richetu dla Fournatse”.
  • Martin …. era detto “Dou Jânin” o Dzenin.
  • Una famiglia Alpe erano detti “dou Tounoun”
  • Claudio Vinassa dei Bonaudi era detto “bellissimo”.
  • Vair Angelo, emigrato in Francia era detto “Gilin”.
  • Cordola Bartolomeo di Mocchie era detto “Troumlin d Motse”.
  • Sergio e Franco Cordola del Poisatto erano detti “fieul ëd trentun” (tren=traino).
  • Nell’archivio storico di Condove nei ruoli delle contribuzioni fondiarie dell’anno 1807 sono citate le seguenti famiglie con tanto di soprannome: Alotto “Lou pòourou” (i discendenti abitanti in Via Roma negli anni 50 erano pertanto detti “couj dou pòourou”), Alpe “Gasina”, Rocci “Mouloira”, Senor “Cappo”, Vinassa “Lou Badan”.
  • Nel 1837 la cronaca della battaglia del Collombardo riporta altri due soprannomi: Rocci Giovanni Battista di Bartolomeo detto “Mouloira” e Giovanni Battista Garnero detto “Moulin-a”.
  • Antonio Moletto sindaco di Mocchie dal 1921 al 1926 era detto “Tounin dla Boina”.
  • Garnero Agnese (classe 1910) era chiamata “Gnesin-a dle Bertoulere e dou moutchot” ln quanto figlia di Garnero Antonio Massimo.
  • Tista e Ricou di Pralesio erano detti “dou sòp” (dello zoppo)
  • Un Battista di Pralesio era chiamato “Tistin”.
  • Alla borgata Allotti nell’anno 1840, Stefano Allotti era detto “Clero”. Nello stesso anno Giò Stefano Allotto era detto “Signori”, forse per la sua qualità da oratore consumato di introdurre i suoi discorsi o le discussioni.
  • A Mocchie una persona di cui si è perso il nome era detto “la gata”, (tarlo o larva di insetto che rode il legno) perché masticava sempre qualcosa.
  • I Franchino erano detti “couj dla Mianda” perché da lì provenivano.
  • Nella Valle del Sessi nel 1838 vivevano “lou eitiapaperè” il piccapietre Giovanni Battista Garnero, “lou moulin-a” il molinaio Domenico Cordola, “lou tcharbouné” il carbonaro Giuseppe Garnero e “Lou tchabatin” il calzolaio Giovanni Battista Pautasso.
  • Altri soprannomi di cui si è perso il riferimento alla persona sono per Laietto: “couj dou founs” ( del fondo) e “couj d cscavlin” (costantino?).
  • “Couj dou fré” era il soprannome della famiglia di Costantino Croce che di mestiere faceva il fabbro: il figlio Celestino diventava “Celest dou fré”.
  • “Couj dou ris” era il soprannome di una famiglia Cinato di Mocchie.
  • Selvo Italino era detto Ou tapagiun”.
  • Carlo Giuliano di Reno Superiore era chiamato “Carlin ëd Trumeia”
  • Votta Ilario era detto “Ou partisoul” perché unico discendente della famiglia.
  • Una famiglia Votta di Prato del Rio era detta “couj dou malpansa o malapeuhi”.
  • Una famiglia delle Grange era detta “dou calié” perché un antenato aveva una bottega da calzolaio o faceva scarpe.
  • Al Crosatto la famiglia di Perotto Rinaldo era detta “couj dou patin”.
  • Al Crosatto un’altra famiglia Perotto era detta “couj dou magnou” perché il bisnonno si chiamava Ermanno.
  • Sempre al Crosatto la famiglia Richiero era detta “couj dla fèra” derivante da ferro al femminile.
  • Alle Grange Richiero Giuseppe era detto “couj dou martinèt” perché un antenato proveniva dai Martinetti di San Giorio.
  • Alle Mollette Davì Augusto era detto “dou griz o gris” perché un antenato aveva i capelli grigi già da piccolo.
  • Alle Mollette Nurisso Battista era detto “Tistin dou pouléntin”.
  • La famiglia Ivol era chiamata “coj d’Andrej”.
  • A Bigliasco Giuglar Casimiro era chiamato “Mirou moulet”, dal cognome della madre Moletto.
  • A Ravoire Senor Casimiro con alpeggio ai Gighé era chiamato “Mirou lou bestiou”.
  • Una famiglia Bar di Maffiotto era detta “dou fra”.
  • Borla Giuseppe era chiamato“ël cribo”
  • A Condove Richiero Emilio era detto “ël cachët” perché parlando tartagliava, di conseguenza la moglie Chiampo Maddalena era la “cachëtta”.
  • Chiariglione Pietro macellaio a Condove nel 1910 era detto “ël ciòrgn”.
  • I regi carabinieri erano chiamati “li Tchàpa”.

Nei soprannomi venivano largamente usati i diminutivi. Così Pancrazio diventava “Crasèt”, Angelo diventava “Gilin”, Nicola diventava “Coulìn”, Nicolao “Micoulà”, Battista “Titìn, Batita, Tista o Tistin”, Clemente “Mentu”, Domenico “Mencou, Minàs”, Michele poteva diventare “Chèl”, “Miclìn” o “Miclàn”, Francesco “Cetch, Cecou”, Enrico “Richet, Ricou, Anrëi”, Margherita “Ghitëign o Guitin”, Maria “Mariéta, Jéta”, Emilia “Mija, Mijota”, Alberto “Bertou”, Maddalena “Dalèena”, Andrea “Dré”, Giuseppe “Pinòt, Nòtou, Pinòtou, Gep, Not, Pin”, Vincenzo “Vinsàan, Ciàn, Tchens, Tchensin”, Luigi “Luis, Vigiou”, Annetta “Neta”, Marcello “Celou”,Firmino “Minou”, Anna “Nin”, Stefano “Steou, Steoulin”.

Altri soprannomi erano legati a caratteristiche fisiche delle persone: “Cassoutoùt” (Spacco Tutto), “Rougni” (Rogna), “La Màiri” ( La Magra), “La Hopa” (La Zoppa), “Barbisìn” (Baffetto), “Lou Bioùnt” (Il Biondo), “Minoùia” (Perdi Tempo), “Pèrou Bel” (Pietro il Bello), “Pèrou tchitou” (Pietro il Piccolo), “dzambaloùndzi” (Gambalunga), “Limoùn” (limone per il carattere un acido), “Sudor” (uno che non si ammazzava di fatica).

Caratteristici sono certi curiosi cognomi doppi, più frequenti nelle Valli di Lanzo e Canavesano, di cui la prima parte è il vero nome di famiglia e l’altra originariamente un soprannome, che conserva generalmente la forma dialettale pura: Seren-Rosso o Seren-Ros, Costa-Medich, Perino-Bert, Merlo-Pic, Savant-Marietta e molti altri.

Spesso il soprannome derivava da un termine legato all’agricoltura, alla morfologia, geologia, posizione o caratteristiche della proprietà: Tsampoun, Tsampàs, Pra, Boc, Truc, Roc, Coumba, Coumbal, Barma, Tsarm, Rotsa , seguiti dal nome del proprietario, o da una specificazione Boc dou piloun dou Couindou (bosco del pilone del Coindo), Lou Pra dou Bouorgis (il prato della famiglia Borgis), La Meizoun dou Poustin (la casa del postino), Lou piloun dou greun boc (il pilone del gran bosco) Lou Boc dou Prève (il bosco del prete, cioè della parrocchia), Lou pieùn d Putach (il piano di Pautasso), La court dou frè (il cortile del fabbro),  Lou Pra dou Rous (prato appartenente a uno rosso di capelli), La Tsarm d Gilin (il pascolo d’altura di Angelo), Lou sàout dou beu (un dirupo dal quale è precipitato un animale), La Barma nèiri (il riparo sotto una roccia oscura), Lou Roc Lounc (il masso lungo), La Preiza (presa d’acqua), Lou Batsàh (vasca in pietra, usata come lavatoio o abbeveratoio per animali), Lou pra dla bèrdzera (prato di una pastora), Lou pra dla fin (prato al confine del comune), La Pera di mort (la pietra dove si appoggiava il feretro nei funerali per riposarsi), Ij roc dou Cribou, ecc. Acquistando quella proprietà spesso ne acquisivi il soprannome ( vedi mio nonno “Djàn dla bèrdzera” per aver acquisito in passato il Pra dla bèrdzera).

Per concludere questa breve ricerca, voglio riportare alcuni versetti in Piemontese di Gallo Michele sull’ironia dei soprannomi, trovati sull’Almanacco Piemontese del 1969:

Soportoma ‘n santa pas

costi epiteti ch’ai dà

so caratere ò ‘l cas

ai pais e a le borgià;

Ij’abitant për soa natura,

se ‘nt’na val ò ‘nt’na pianura,

s’a son bei ò s’a son brut,

stranomà son dapërtut.

 

Gianni Cordola (scritto nel 2013)

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