Vestiario

ABBIGLIAMENTO NEL PRIMO NOVECENTO A CONDOVE E MOCCHIE

La storia dell’abbigliamento coincide con la storia della civiltà. Ciascun articolo d’abbigliamento ha un significato culturale e sociale. In esso si condensano alcune funzioni tramandate o evolutesi nel tempo: quella pratica legata alla vestibilità; quella estetica legata al gusto dell’epoca e a canoni specifici delle diverse comunità; quella simbolica grazie alla quale l’abito può definire l’appartenenza ad una particolare comunità, e nello specifico nel passato identificare il luogo in cui viveva la persona: montagna, paese o città.

Agli occhi di chi come me è nato verso la fine degli anni quaranta, in un periodo nel quale il paese ha iniziato una fase di ricostruzione con radicali trasformazioni economiche e sociali, le differenze tra città, campagna e montagna, benché fossero ancora molto marcate sul piano economico, culturale, o rispetto ai pregiudizi di classe, si mostravano già fortemente indebolite sul piano di quelli che ne erano i segni più visibili, cioè nell’abbigliamento. Nei miei ricordi di infanzia e in quelli dei racconti dei miei genitori, il modo di vestire dei montanari riaffiora in forme che dovevano essere sicuramente residuali rispetto ad una organicità presente nel passato. Il mercato del mercoledì a Condove era il luogo nel quale questa visibilità si mostrava in ambiente urbano. Le contadine con il fazzoletto in testa e con le gonne lunghe con sopra lo scialle, i contadini con il cappello nero di feltro a falde larghe e la camicia bianca con il colletto a cinturino. Anche la festa patronale, così come emerge dai miei ricordi, richiamava tanta gente e anche qui il modo di vestire distingueva chi proveniva dai paesi vicini o dalla montagna, per un uso dell’abbigliamento festivo che benché fosse già urbanizzato e timidamente al passo con la moda degli anni, denotava ugualmente una provenienza, un confine sociale e culturale.

Nel XIX secolo l’abbigliamento e la moda riguardava i soli adulti; vestiti veri e propri per l’infanzia non esistevano. In tenera età bambine e bambini indossavano tuniche, dall’età scolare in poi versioni ridotte dei capi per adulti. Solo dal 1890 prese il via la moda infantile, riservata alle classi agiate di città (indumenti alla marinara per i maschi, vestitini a sacco per le femmine ecc.). In campagna, dove non solo fra i poveri gli abiti dei bambini erano quelli smessi dai genitori e riadattati, l’abbigliamento per l’infanzia si affermò solo lentamente (nelle borgate di montagna solo negli anni 20).

Al fine di soddisfare la curiosità di conoscere come vestivano i nostri avi esaminiamo l’abbigliamento di montagna, di paese e di città all’inizio del secolo scorso. Una ricerca che non può avere un valore di esattezza assoluta fatta da persona poco edotta di moda. Come già evidenziato si tratta di vestiti dei primi anni del 1900.

I vestiti nelle borgate montane

Gli uomini ne possedevano quasi sempre due, che usavano sino quando non si rendevano inservibili, anzi rattoppati passavano da padre in figlio. Vi era quello abituale e quello delle grandi occasioni di stoffa più pregiata, che veniva custodito con molta cura. Generalmente erano di canapa, cotone o fustagno (anticamente realizzato con un ordito in lino e la trama in cotone poi in cotone e lana), rari gli abiti di lana, si calzavano zoccoli di legno oppure rozze scarpe con molte toppe: in ogni casa c’era sempre qualcuno che si improvvisava ciabattino , ingegnandosi ad aggiustare suole e tacchi. Gli uomini nelle feste portavano sempre sul capo un cappello di panno o feltro con la falda ed un nastro intorno alla fascia, il gilè abbottonato in alto, il fazzoletto annodato intorno al piccolo colletto della camicia e la giacca. La camicia è ampia e larga, mentre le mutande sono sempre lunghe e bianche. Per ripararsi dal freddo erano frequenti pesanti mantelle nere in cui gli uomini si avvolgevano. Le donne vestivano con abiti semplici : una ampia sottana, solitamente scura, un corpetto o scamiciati fatti ai ferri con sotto le più comuni camicie di tela di canapa, una cuffia o fazzoletto in testa a coprire i capelli lunghi raccolti a crocchia sulla nuca e uno scialle per coprirsi le spalle, il cui tessuto era particolarmente sostenuto e pesante. Per le solennità o andando alla messa coprivano il capo con un velo o con qualche bel fazzoletto di lana a tinte vivaci. Alcune donne ne possedevano uno che indossavano solo nelle feste grosse e che poi immediatamente riponevano nell’armadio appena giungevano a casa. Vestiti da sposa neri, cappellini vivaci ed eleganti per il matrimonio o il battesimo forse portati quassù dalla vicina Francia. A volte andando in chiesa poco prima di arrivare alla borgata Laietto le ragazze si cambiavano le scarpe con cui avevano percorso la mulattiera. Insomma anche le giovani della nostra montagna amavano essere un po’ eleganti nelle occasioni importanti. Le donne si fasciavano la testa, con un fazzoletto scuro, anche durante i lavori dei campi, in particolare nel corso della fienagione. Un grembiule fatto di tela ruvida, portato sopra l’abito, proteggeva il vestito sia durante i lavori domestici e spesso anche nelle feste. Il grembiule aveva anche un significato simbolico, cioè quello che una donna non voleva o non poteva dire a voce, lo esprimeva attraverso i suoi movimenti. Se una ragazza, sotto lo sguardo insistente di un giovane, fingeva di dare un’assestata al suo grembiule spostandolo verso destra, era segno che il giovane le era simpatico e che quindi poteva rivolgersi tranquillamente ai genitori per frequentarla. Lo stesso gesto compiuto da una donna sposata o verso un uomo sposato veniva giudicato come mossa di adescamento e come tale capace di suscitare risentimenti e liti. Due accessori molto usati erano il bastone con manico ricurvo per gli uomini e una cesta di vimini per le donne.

Il vestito di tutti i giorni

Il vestito buono

I vestiti in paese

A Condove nel primo novecento ha inizio una radicale trasformazione da paese contadino a paese industriale con il sorgere della Società Anonima Bauchiero per la costruzione di veicoli ferrotranviari. Tale cambiamento si nota anche nell’abbigliamento che diventa indicatore di ceto sociale con vestiti d’importanza pratica come la tuta da meccanico per l’operaio e l’abito con cravatta per l’impiegato. Le pesanti mantelle nere in cui gli uomini si avvolgono in montagna cominciano ad essere sostituite da soprabiti e cappotti, le scarpe meno rozze e più adatte a strade con selciato in ciottoli. Con l’impiego della macchina per cucire qualche donna inizia a provvedere da sé all’abbigliamento. Le donne abbandonano il cesto per la borsa e gli uomini usano poco il bastone da passeggio.

I vestiti in paese

I vestiti in città

Le signore della città indossano vestiti che riproducono il modello del paese, però sono lavorati con più gusto e raffinatezza, spesso ornati di merletti e ricami fatti ad arte. Un ruolo importante, per conferire eleganza, esercitano gli accessori. Indispensabili sono i guanti di pelle finissima per l’inverno, di pizzo e traforati per l’estate. Coprono il capo con un cappello con una veletta, che arriva fino al mento e dà al loro viso un grande fascino. Non manca la borsetta in cui custodiscono i vari oggetti personali. Completano l’abbigliamento graziosi ombrellini, che le signore portano in ogni occasione. Amano ornarsi anche di gioielli, quali orecchini e anelli di squisita fattura, spille e collane.

Gli uomini indossano vestiti che si compongono di pantaloni lunghi, giacca abbottonata in alto con tre o quattro bottoni accompagnata dal gilé su cui spicca la catena dell’orologio da taschino. Sotto la giacca è d’obbligo la camicia bianca di cotone. É in voga avere lunghi baffi che conferiscono autorevolezza.

I vestiti in città

Gianni Cordola