La contrada dei Fiori in Condove

Contrada dei Fiori, un nome che può far pensare a una indicazione botanica, ma così chiamata perché abitata anticamente dalle famiglie Fiore, di cui è rimasta traccia in antichi documenti: Johannes de Flore de Mochis nel 1383 e Steffano e Cattharina Fior nel 1655.

La contrada dei Fiori nel catasto ottocentesco

Qui sono nato nel 1947 e ho passato gli anni più spensierati, qui le mie radici, quando in questo vicolo ci si conosceva tutti, e adesso… I tempi cambiano ma i bei ricordi rimangono indelebili e li portiamo dentro sempre. Qui oltre la mia famiglia Cordola – Pautasso, vivevano i Borgis, Reinaudo, Midellino – Franchino, Versino – Marra in parte originari della montagna Condovese e altri di diversa provenienza Corsieri, Bezio e la famiglia dello stagnaio. I miei compagni di giochi erano Marisa, Renata, Clara, Felice, Bruno, i due più grandi Ercole con mio fratello Giorgio, e Guido di cui non ricordo il cognome perché dopo qualche anno la famiglia si trasferì in Torino. Noi bambini, sia maschi che femmine, giocavamo quasi sempre insieme; pochi giochi erano prevalentemente femminili, come giocare alle bambole o a vendere.

I ragazzi della contrada dei Fiori fotografati poco sopra al roc du cëmpiun

Eravamo un gruppo di bambini che insieme, i più piccoli sotto la guida dei più grandicelli, fanciulli e fanciulle, giocavamo o anche lavoravamo. Tutti parlavamo un bel dialetto piemontese, che oserei definire genuino. Se qualcuno piangeva o aveva paura per qualche cosa, veniva per un momento consolato, ma poi, se continuava, veniva deriso con un “Ciu-ciula, ciu-ciula”, mentre i compagni fregavano insieme gli indici delle mani. Ci divertivamo moltissimo e restavamo fuori fino alla sera tardi. Giocavamo a nascondino, a pallone, con le biglie e le figurine, saltavamo la corda, inventavamo tanti giochi divertenti che ci facevano ridere a crepapelle. Alla sera nella bella stagione mamme e nonne si radunavano davanti al pilone (era l’unico punto luce pubblica) del vicolo per chiacchierare e rammendare vestiti mentre noi ragazzini scorrazzavamo per tutto il vicolo.

Il pilone dei Fiori

Di pomeriggio invece finiti i lavori domestici si riunivano nel cortile dei Versino o davanti il cortile di casa mia; c’erano tutte Rina, Natalina, Costantina, Domenica, Olimpia, Costanza, Carmelina, mia mamma Pina, Tilde e altre di cui non ricordo il nome. E come non ricordare Olga e sua mamma Tilde, la quale aveva una paura matta dei tuoni durante il temporale tanto da urlare per lo spavento e correre in casa a nascondersi. A fine giornata i padri se non stanchi del lavoro facevano un salto all’osteria dei Fiori di Alterant per una bicchierata in compagnia; lì alla domenica sera era facile incontrare il poeta pittore Alexis per parlare della sua arte e dei problemi del vivere.

Spesso di pomeriggio salivamo di fronte alla Cartoncina a far andare le barchette di legno nelle bealere. In inverno, incuranti del freddo, ci divertivamo lanciandoci palle di neve o scivolando lungo le strade ghiacciate. Nella tarda primavera andavano con gioia a raccogliere le fragoline di bosco attorno al Roc dij mess in vicinanza della strada per le Fucine per mangiarle sul posto belle fresche, oppure al Gravio per more e lamponi. La porta di casa era sempre aperta e se ci si assentava tutti la chiave era posta sotto un sasso vicino all’ingresso; non c’era pericolo, se arrivava un estraneo i cani abbaiavano e comunque chi lo vedeva avvisava tutto il rione. Attorno al borgo abitavano altri ragazzi, Bruna G., Paolo A., Rina D. e Francesco in via Mazzini ed altri in via Don Pettigiani.

Qualche anno dopo, più grandicelli, potevamo scendere alla sera in piazza e incontrarci con gli altri amici: Piero M., Beppe A., Giovanni, Osvaldo, Cesare, Ezio, Oscar, Paolo, il ritrovo era sempre fissato davanti la Bocio. Ognuno di noi aveva anche un soprannome scherzoso che evito di citare per non far arrabbiare nessuno, il mio era Censin affibbiatomi da Felice il mio vicino di casa. Non mancavano certo le ragazze Beatrice, Rita, Clelia tanto per citarne alcune. Quante chiacchiere sulle panchine della piazza, qualche volta si giocava al pallone nel cortile della vecchia chiesa finché era aperta al culto, con la costruzione della nuova chiesa si giocava nel campo sportivo oppure si guardava chi giocava a bocce, a carte o al biliardo. Anche il viale Bauchiero alla sera era pieno di persone sulle panchine e per la strada. I bar erano vivi e brulicanti di persone di ogni età. A quei tempi si formavano i gruppi dei vari rioni: i Fiori, le Fucine, le case operaie, le villette, il Molaretto, la piazza, ecc. e non mancavano divisioni di classe e di quartiere, liti e maldicenze.

L’estate si andava a fare i bagni lungo il torrente Gravio nelle immediate vicinanze della centrale idroelettrica delle Officine Moncenisio, meta prediletta di tutti i giovani Condovesi. Le splendide piscine naturali lungo il corso d’acqua cristallina erano da sempre il ritrovo estivo di gente della zona nelle giornate calde e soleggiate.

Forse non è proprio questo il modo in cui trascorrono il loro tempo libero i ragazzi d’oggi, ma sicuramente è molto diverso da quello di una volta. Non è che non mi piacciano i divertimenti d’oggi, ma considero più belli i passatempi di una volta. Nella loro semplicità avevano qualcosa di particolare, ci si accontentava di quel poco che si aveva, si poteva essere se stessi senza cercare di apparire diversi da quello che si era veramente. Nel passato le macchine erano molto rare, lo stile di vita era completamente diverso. Si conoscevano quasi tutti gli abitanti del luogo e nel proprio paese ci si sentiva come una grande famiglia.

Non so, forse mi piacerebbe vivere in un luogo del genere, ma alla fine credo che le condizioni di vita erano comunque più difficili, anche se rispetto ad oggi era più facile trovare un lavoro vista la presenza di tante fabbriche sia nel paese che in quelli limitrofi. Meglio una volta o meglio oggi questo paese? Chi lo può dire? Forse ognuno di noi è portato a valorizzare e dare più importanza alle cose passate, a credere che “era meglio una volta”, io credo che ogni cosa abbia un suo tempo, non meglio o peggio, solo penso che la conoscenza delle cose trascorse non debba essere perduta perché anche se non torneranno più, un insegnamento per affrontare meglio il futuro possono sempre darcelo. Il tempo passa e modifica uomini e cose, solo i ricordi restano sempre come li abbiamo avuti. Quelli più forti, specialmente se felici, non possono svanire, non se ne sono andati.

Gianni Cordola

La contrada dei Fiori
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