Quando si viveva senza frigorifero

Se fino agli anni 50 del secolo scorso a Condove e nella quasi totalità delle borgate montane il frigorifero era un elettrodomestico sconosciuto, come conservavano gli alimenti le nostre nonne? La risposta in queste poche righe che descrivono gli “usi” più popolari.

Il frigorifero, l’elettrodomestico più utilizzato nelle nostre case, è stato inventato negli Stati Uniti prima degli anni 20 del secolo scorso, era dotato di un compressore che produceva il freddo localmente e autonomamente. L’idea è talmente buona da spingere un decennio dopo a produrlo a livello industriale. In Italia è arrivato verso la metà degli anni ’40 e, solo nelle case ricche, poiché troppo costoso. Ha cominciato a svilupparsi dappertutto negli anni 60.

L’impiego del freddo per la conservazione alimentare è una pratica consolidata da secoli. Ma mancando in passato i sistemi moderni per generarlo, l’unico modo con cui mantenere basse temperature per molti mesi all’anno era quello di costruire ghiacciaie sotterranee, caricate durante l’inverno con neve e ghiaccio. Ma come si riusciva nel passato a produrre ghiaccio e a conservare gli alimenti deperibili quando non si possedeva il frigorifero?

La ghiacciaia, era un buco profondo, in un luogo freddo, dove si raccoglieva la neve durante l’inverno e si copriva il tutto con fascine. Questa neve diventava ghiaccio che durava fino all’inverno successivo. La persona che custodiva la nevaia, tagliava, con una sega, man mano il ghiaccio necessario e, alla fine dell’estate, il buco era diventato così profondo che gli occorreva una scala a pioli per arrivare in fondo alla nevaia.

Il ghiaccio della nevaia, veniva comperato dalle famiglie, oltre che per tenere i cibi al fresco, per realizzare sorbetti o granite. Il pezzo di ghiaccio veniva grattato poi, sul composto ottenuto, si versava lo sciroppo, quasi sempre di menta o amarena: una delizia per grandi e piccini.

Ma senza ghiaccio come si faceva? Gli alimenti deperibili venivano consumati in giornata o, al massimo nei due giorni successivi. La conservazione del cibo è sempre stata la principale preoccupazione dell’essere umano, nel corso dei secoli si sono tramandate tecniche che hanno funzionato abbastanza bene.

Come dicevo esistono varie tecniche per mantenere i cibi, o strategie che i nostri vecchi mettevano in pratica, e non sono neanche tanto complicate, vediamo come.

Innanzitutto le nostre case avevano una cantina o un locale adatto alla conservazione degli alimenti cioè fresco, buio, asciutto e senza muffe o umidità, bastava soltanto preservarlo da roditori e insetti che potevano penetrare. Trappole per topi e recipienti pieni di acqua e zucchero, dove le mosche annegavano non mancavano mai.

Castagne: tendono facilmente a prendere la muffa o i vermi. Si conservavano tenendole a bagno in acqua per nove giorni: i frutti bacati salivano a galla e potevano essere gettati. Quindi si mettevano ad asciugare e si stendevano in cantina tra strati di sabbia ben secca.

Formaggio: veniva avvolto in panni di lino imbevuti di aceto di vino e posato su un’asse sospeso al soffitto nella cantina.

Frutta: mele e pere venivano adagiate in lunghe file tra foglie secchie sopra i pavimenti di solai o cantine, mentre prugne, lamponi, fragole, pesche, ciliegie, albicocche ecc. diventavano marmellate, composte, gelatine, sciroppi e liquori. Fichi e prugne si facevano anche seccare al sole. L’uva si appendeva a corde o a telai: se i chicchi appassivano, bastava immergerli un quarto d’ora prima dell’uso in una bacinella piena d’acqua tiepida. Le noci venivano immerse nella sabbia secca, ma più frequentemente trasformate in olio.

Cereali: venivano conservati con la macinatura o con l’essiccatura al sole o all’aria ma spesso germinavano o ammuffivano.

Patate: si conservavano in un locale asciutto e spazioso per poterle stendere e areare ogni tanto, scuro per evitare che inverdiscano e ne troppo freddo ne troppo caldo, per impedire gelo o germinazione. I germogli venivano tolti prima che si sviluppassero (un accorgimento era di posizionare le patate in vicinanza delle mele perché il gas etilene sprigionato dal frutto ritardava la maturazione delle patate).

Insalata: veniva avvolta in panni umidi, ma la maggioranza della verdura in generale finiva in barattolo; a seconda della stagione infatti le massaie mettevano sott’olio, sott’aceto o in salamoia, con ricette variabili da paese a paese, fagiolini, cipolline, cavoli, melanzane, peperoni, funghi, pomodori.

Uova: immerse in vasi di terracotta colmi d’acqua di calce, dai quali venivano pescate con speciali mestolini bucati oppure sepolte in cassette con sale fino e sistemate in cantina. Sul fondo della cassa rivestita di carta veniva posto uno strato di sale fino e su questo le uova una accanto all’altra. Gli spazi tra le uova venivano colmati di sale e coperti con un ultimo strato. Le uova conservate in questo modo si mantenevano sane anche per otto mesi. Altro metodo era di seppellire le uova in cassette colme di grano.

Salumi: se interi si conservavano appesi, in un luogo fresco e riparato dalla luce solare.

Le carni: venivano di solito messe sotto sale, sotto il grasso della sugna, oppure essiccate, affumicate, in salamoia o sotto aceto.

L’affumicatura è un processo che richiede generalmente da 24 a 48 ore per essere portato a termine. La qualità del legno utilizzato per produrre fumo è fondamentale per il sapore finale: quercia, faggio, ontano, acero, melo e ciliegio sono generalmente legname di prima scelta che dona sapori caratteristici alla carne.

L’essiccamento di carne, ma anche di pesce e frutta, era praticata secondo il metodo antico e utilizzava soltanto la luce solare e il vento: il calore del sole e una costante brezza secca che scorreva tra gli alimenti da conservare favoriva l’espulsione dell’acqua e rallentava la decomposizione e la moltiplicazione dei microrganismi nocivi.

La salagione può essere efficace quanto l’affumicamento nella conservazione del cibo e spesso costituiva il passo preliminare per un’affumicatura di successo. Il sale creava un ambiente fortemente alcalino in cui ben pochi funghi, muffe o batteri potevano sopravvivere: ogni cellula vivente subiva un veloce processo di disidratazione fino a morire per carenza d’acqua.

La salamoia consisteva nell’immergere gli alimenti in una soluzione di acqua e sale, all’interno di piccoli vasi di terracotta.

La conservazione sotto aceto. L’aceto crea un ambiente salino o acido in cui i batteri e le muffe non sono in grado di proliferare, consentendo la conservazione del cibo anche per mesi.

Questa carrellata di usanze ci racconta un pezzo della nostra storia scandita attraverso la tecnica e l’ingegno dei nostri antenati affinché le nuove generazioni conoscano l’asprezza della vita nei tempi passati.

Gianni Cordola

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