Dazio e daziere

Il dazio o gabella

Dazio, la parola deriva dal latino e l’istituzione è altrettanto antica. Si possono ritrovare esempi di dazi fin dai tempi più antichi: in epoca romana servivano soprattutto a fornire i fondi alle casse delle città, prima fra tutte la capitale. In epoca medioevale ai tempi in cui le città erano murate e le porte della città venivano chiuse di notte, lungo le vie di accesso si trovava il casello del dazio e chiunque “dal sorgere del sole al calare del sole” volesse introdurre merci in città pagava il dazio.

Tristemente famosa era la gabella sul sale che arrivava nel Basso Piemonte dalla Provenza: troviamo attestazioni di questo commercio sin dal XII secolo, lungo la via del sale. Si narra che in tempi remoti i commercianti di sale, di ritorno dalle saline ubicate in Provenza ed essendo oberati da alti dazi sul sale, usavano coprire l’ultima parte della botte, riempita di sale, con le acciughe, in modo da sfuggire agli occhi dei gabellieri, un espediente per evitare di pagare i dazi doganali, altissimi su questo prodotto e più bassi sul pesce. La guerra ai contrabbandieri del sale ha infiammato per secoli i sentieri fra il Ducato di Savoia e gli Stati confinanti.

L’usanza dei dazi continuò per secoli e dopo l’unità d’Italia, fu ufficializzata con  legge n. 1827 del 3 luglio 1864.

Era un’imposta per finanziare i comuni e di conseguenza le grandi città eressero una cinta daziaria per controllare il passaggio delle merci. Si pagava dazio sul vino, sui liquori e sulle carni. Poi, dopo la grande guerra, venne estesa a una vasta gamma di generi di consumo: olio, profumo, scarpe, tessuti, materiali da costruzione. Dal 1931 la parola dazio fu abolita, ma il pagamento rimase con il nome di Imposta Comunale di Consumo e le imposte venivano incassate direttamente dai comuni. Nel 1972 l’imposta di consumo fu eliminata con l’istituzione dell’IVA, che dura ancora oggi.

La cinta daziaria di Torino

La città di Torino era stata privata delle sue mura in età napoleonica in base all’editto del 23 giugno 1800, pochi giorni dopo la battaglia di Marengo.

Nel 1853 venne decisa la costruzione della cinta daziaria per motivi fiscali in base allo Statuto Albertino del 1848, che concedeva la possibilità alle città di riscuotere dazi. Il muro alto più di due metri fu costruito dal 1853 al 1858 aveva un perimetro di 16,5 km e includeva l’area compresa fra la Cittadella, l’attuale Cimitero Generale e San Salvario (dove c’era un forte problema di contrabbando, che si voleva debellare). All’interno del muro e lungo di esso correva una strada per tutta la sua lunghezza e così pure una seconda strada all’esterno del muro. La cinta aveva due caselli di controllo lungo le ferrovie (verso Genova e verso Susa), oltre a quelli di Nizza, Stupinigi, Orbassano, Crocetta, San Paolo, Foro boario, Francia, Martinetto, Lanzo, Milano, Abbadia di Stura, Regio Parco, Vanchiglia, Casale, Villa della Regina, Piacenza, Ponte Isabella, che permettevano l’accesso alla città e a queste barriere si riscuoteva il dazio.

La cinta daziaria del 1853 in una mappa di Torino del 1896

La presenza della cinta daziaria condizionò lo sviluppo urbanistico di Torino, tra il XIX e il XX secolo. Per non pagare il dazio, infatti, molte attività industriali si insediarono nei pressi delle barriere, così come fecero molti artigiani e molti operai, per i quali era più economico vivere fuori dalla cinta daziaria. La conseguenza fu che intorno alle barriere nacquero veri e propri quartieri, che ancora oggi portano nel proprio nome il ricordo della cinta (basti pensare alla Barriera di Milano, nata intorno, per l’appunto, alla barriera sulla strada che arrivava da Milano); spesso questi nuovi borghi ebbero uno sviluppo urbanistico disordinato, dimenticando l’antica pianta ortogonale che caratterizzava il centro cittadino. E non solo, il continuo aumento della popolazione intorno alle barriere, per evitare il pagamento del dazio, preoccupò le autorità cittadine, sia per lo sviluppo vertiginoso e incontrollato dei nuovi quartieri, sia, evidentemente, per le mancate entrate fiscali.

La cinta venne abbattuta quando Torino decise, nel 1912, di dotarsi di una cinta più ampia in seguito allo sviluppo della città. Lungo il percorso della cinta sono sorti alcuni dei corsi principali della Torino di oggi: corsi Bramante, Lepanto, Pascoli, Ferrucci, Tassoni, Svizzera, Mortara, Vigevano, Novara e Tortona.

La nuova cinta daziaria del 1912 mai completata

Nel 1912 in seguito all’espansione della città e a un piano regolatore del 1906 venne progettata e non del tutto costruita una nuova cinta daziaria, più esterna e molto più ampia della precedente, per includere le attività economiche nate nel frattempo sul territorio cittadino. La nuova cinta correva lungo quelli che oggi sono le vie Vigliani, Reni, Maria Mazzarello, De Sanctis, Cossa, Sansovino, Veronese, Botticelli ma non fu mai completata. Furono però edificate le barriere in quelle che adesso sono le piazze Bengasi, Massaua, Rebaudengo e Stampalia. Le barriere d’ingresso a Torino funzionarono fino agli anni 60 del XX secolo, molti dei torinesi più anziani le ricordano ancora.

Nel 1930, durante il periodo fascista, vennero aboliti i dazi e quindi anche questa cinta non ebbe più motivo di esistere. Anche se poi, caduto il regime, i dazi furono ripristinati e la loro abolizione ebbe luogo solo nel 1972.

Chi era il daziere o gabelliere

Era l’esattore del Dazio una tassazione particolarmente invisa al popolo. Il Dazio andava applicato al penultimo passaggio, quello tra grossista e dettagliante su di una marea di prodotti: dalle cucine a gas o a legna al ferro da stiro in ghisa, dai mobili di casa ai prosciutti e ai salumi, ed altri mille oggetti e mercanzie.

La procedura prevedeva che ogni commerciante che riceveva la merce avvisasse immediatamente (mi pare entro un massimo di 30 minuti) il Daziere, che di solito abitava in paese. Lui veniva, apponeva un sigillo che poteva essere un piombino chiuso su di uno spago che rimaneva allegato alla merce oppure se del caso con un timbro circolare. Naturalmente c’era da pagare e questo andava a caricare il prezzo di vendita.

Il Daziere poteva sanzionare chi non “metteva il dazio” con contravvenzioni piuttosto pesanti, ma lo stesso poteva fare se lui scopriva di esse stato chiamato in ritardo.
Con queste premesse si capisce perché il Daziere non fosse amato, anzi era poco simpatico praticamente a tutti, o quasi. Sicuramente temuto. Tentare di fregarlo era più uno sport che una vera e propria voglia di evadere.

La pesa pubblica di Condove

Era un meccanismo di grande precisione. Al vederla sembrava un pezzo di strada formato da una lastra di acciaio rigato perfettamente in piano. Ci salivi sopra con un camion di qualche tonnellata e lo pesavi. Poi passavi a consegnare anche solo un barattolo da 10 kg e, quando ci salivi sopra di nuovo, ti dava il nuovo peso preciso al chilo.

Indispensabile quando il dazio si pagava a peso perché stabiliva in modo ufficiale il netto dedotto della tara. Era utilizzata anche dai privati quando dovevano vendere un carro di fieno o di legna o un carico di pietre, ecc.

Sotto la piattaforma in acciaio c’era una fossa tutta foderata di cemento armato dove venivano posate una serie di leve e contrappesi lavorati con precisione. Il tutto era collegato, fuori terra, con una bilancia a leve.

La perfezione del meccanismo era tale da restituire il peso con alta precisione. Le pese pubbliche, in più, avevano la possibilità di stampare il peso inserendo un cartoncino dove veniva impressa a rilievo la data e il peso che acquisivano un carattere ufficiale e non contestabile.

A Condove negli anni ’60 l’ufficio del dazio era in Viale Bauchiero. C’era un daziere o gabelliere, un pubblico ufficiale incaricato della riscossione delle gabelle o tasse indirette. In realtà era una figura a metà fra l’ufficiale pubblico e un libero professionista, concessionario in proprio, in quanto una percentuale dei proventi derivanti dalla riscossione delle imposte gli era dovuta.

La pesa era accanto l’ala grande del mercato in via Cesare Battisti. Accanto alla pesa un piccolo vano in muratura ospitava la stadera fuori terra e i documenti.

pesa pubblica e ala mercato di Condove

Nel 1972 il dazio fu sostituito dall’IVA, che dura ancora oggi. I dazieri andarono in pensione o trovarono altri impieghi. La pesa pubblica durò ancora poco, ormai il commercio di materiale sfuso diventava meno diffuso, le aziende avevano la loro pesa in stabilimento.

Gianni Cordola

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