La “bagna càuda”

Ogni piemontese almeno una volta nella vita ha mangiato la “bagna càuda”, nata tra le valli occitane e franco provenzali, per estendersi fino alle colline dell’Astigiano, Monferrato e Langhe. Pare che nel Nord Piemonte questo piatto sia arrivato molto più tardi a partire da metà 800. In tanti l’adorano, qualcuno non la sopporta e altri non la digeriscono, ma non ci sono dubbi: è probabilmente il piatto più caratteristico della cucina piemontese.

Aglio, acciughe e olio: sono questi gli ingredienti base della “bagna càuda”, con l’aggiunta di burro, latte e noci secondo le varie usanze locali. Questa salsa, simbolo della cucina piemontese, è il condimento ideale per le verdure nella stagione autunnale e invernale. Non c’è dubbio che per i piemontesi rappresenti un simbolo culturale importante, ma pensateci bene: gli ingredienti principali acciughe e olio non sono piemontesi. La sua storia affonda le radici nel periodo medievale e merita di essere approfondita e conosciuta, anche perché non si sta parlando di una semplice salsa, ma di un vero e proprio rito.

Aglio

Più che un piatto, è un rito conviviale dove i commensali attingono la salsa tutti insieme da un unico tegame di cottura in terracotta (ël fojòt), mantenuto in temperatura mediante uno scaldino di coccio riempito di braci. Oggi sono di uso comune appositi contenitori in terracotta costituiti da una ciotola a cui è sottoposto un fornellino per mantenere calda la salsa. Si consuma intingendovi vari tipi di verdure di stagione solitamente divise tra crude e cotte (specialmente cardi, cipolle cotte al forno, peperoni crudi o abbrustoliti, foglie di cavolo crude, cavolfiore, topinambur, barbabietole, patate cotte a vapore, ravanelli, rape e tante altre).

Come già detto, il Medioevo è l’epoca in cui questo condimento venne introdotto per la prima volta. Si tratta di un’usanza dei contadini piemontesi che avevano bisogno di mettersi al riparo dal freddo e dai malanni invernali: le principali testimonianze localizzano la nascita della “bagna càuda” nelle vallate occitane. Al contrario, i ceti più nobili non amavano particolarmente la ricetta, a causa della presenza eccessiva di aglio e la consideravano un cibo rozzo e inadatto ad una alimentazione raffinata.

La storia inizia al di là delle Alpi, in quelle valli del Rodano lungo le quali si snodavano le rotte commerciali battute dai mercanti sin dal Medioevo. Gli scambi fra la Provenza e le adiacenti valli piemontesi furono intensi e proficui, già allora, come dimostra il perdurare di certe peculiarità culturali e linguistiche, che spaziano dalla lingua occitana parlata ancor oggi in alcune zone di confine al tramandarsi di ricette e tradizioni, di cui la “bagna càuda” costituisce uno degli esempi più significativi.

La sua origine storica quindi risale alle celeberrime “vie del sale”, antichi percorsi utilizzati per trasportare merci prevalentemente dal mare verso l’entroterra.

Ingrediente fondamentale per la produzione e la conservazione degli alimenti, il sale arrivava nel Basso Piemonte dalla Provenza: troviamo attestazioni di questo commercio sin dal XII secolo, lungo la via del sale, un percorso articolato che univa le saline provenzali con Nizza Marittima, si ramificava nelle Valli Maira e Stura, si riuniva poi a Cuneo proseguendo fino ad Asti, dove poi il sale veniva smistato capillarmente in un vasto territorio.

Alla diffusione del sale è strettamente connesso anche l’approvvigionamento delle acciughe, pescate in grandi quantità nel mare e distribuite poi lungo le stesse rotte in barili di legno, alternate a strati di sale. Questo spiega la curiosa presenza di questo pesce nella gastronomia di una regione senza affacci sul mare: leggenda vuole che le acciughe venissero usate per coprire i barili di sale, un espediente per evitare di pagare i dazi doganali, altissimi su questo prodotto e più bassi sul pesce. Da lì la diffusione e, immediatamente dopo, il commercio. La guerra ai contrabbandieri del sale ha infiammato per secoli i sentieri fra il Ducato di Savoia e gli Stati confinanti. Verso la fine del Settecento il commercio del sale venne strettamente regolamentato rendendolo meno redditizio. Molti dei mercanti di sale allora si convertirono a derrate più semplici da smerciare, come appunto il pesce salato.

Quello che è certo è che le acciughe vantarono presto una categoria di venditori esclusiva, i montanari della Val Maira che, nella brutta stagione, andavano di porta in porta a proporre l’acquisto del loro prodotto, anche in modiche quantità (in Val Maira, a Celle di Macra, c’è persino un museo degli acciugai). Questo favorì una diffusione capillare dell’acciuga che divenne ben presto un complemento a molte pietanze, trasversale a tutte le case, dei ricchi come dei poveri.

Nel Cinquecento e nel Seicento i Piemontesi consumavano soprattutto olio di noci e nocciole. Si coltivavano anche le olive sulle colline di Acqui ma nel 1709 l’orrido gelo dell’inverno causò la morte di molti olivi e il graduale abbandono della loro coltivazione, ripresa ora negli ultimi anni da alcuni nuovi pionieri. Da allora anche l’olio d’oliva per la “bagna càuda” dovette arrivare da altri territori.

ël fojòt

In Piemonte oggi, la “bagna càuda” non è più un piatto cucinato solo nelle cascine contadine ma diffuso anche nei borghi e nelle città. Le varie associazioni culturali, ristoranti e trattorie locali organizzano a partire dai mesi di ottobre-novembre delle “bagne càude” che vedono la partecipazione di tanta gente. Lunghe file di fornelletti con cesti di verdure cotte e crude fanno bella mostra sulle tavolate ed un profumo di aglio si spande per tutta nell’aria. Anche nella lontana Argentina i discendenti degli emigranti Piemontesi mantengono vivo il nostro piatto tipico organizzando frequentemente degustazioni della “bagna càuda” cucinata secondo la ricetta tradizionale.

RICETTA BAGNA CÀUDA (La bagna càuda a la mòda dël Coindo ‘d Condòve)

Ingredienti per 4 persone: 300g di acciughe salate rosse di Spagna (da 70 a 80 g a persona), ½ litro di olio d’oliva extra vergine (circa un bicchiere ogni due persone), 4 teste d’aglio (una testa a persona), 4 gherigli di noce, 20g di burro, latte quanto basta.

Sbucciate l’aglio, eliminando accuratamente la pellicina. Tagliate ogni spicchio a metà in senso verticale ed eliminate il germoglio verde che troverete all’interno indi tagliatelo a fettine sottilissime. Mettete l’aglio così preparato in un pentolino, copritelo a filo con il latte, mettetelo al fuoco e fate bollire a fuoco dolce fino a quando sia morbido (almeno 20 minuti). Intanto preparate le acciughe: diliscatele, cercando di eliminare qualsiasi traccia di lisca; mettete i filetti in una bacinella d’acqua fredda in modo da eliminare l’eccesso di sale, poi stendeteli su un foglio di carta assorbente e asciugateli con cura. Prendete il tegame dove cucinerete la Bagna. Dovrebbe essere di coccio, è quello che va meglio. In mancanza, sceglietene uno a fondo spesso, che mantenga il calore e al tempo stesso che non si riscaldi troppo in fretta. Nel tegame mettete tutto l’olio necessario, aggiungete le acciughe pulite e mettetelo a fuoco bassissimo. A mano a mano che si riscalda, mescolate con un cucchiaio di legno fino a quando le acciughe siano completamente disciolte: è fondamentale che non frigga mai, altrimenti dovrete buttare via tutto. Una volta disciolte le acciughe, prendete il pentolino dell’aglio prelessato e ormai morbido, e mettetelo nel tegame dopo aver scolato il latte di cottura, aggiungete i gherigli di noce sminuzzati e mescolate spesso, sempre a fuoco dolcissimo, fino ad avere una consistenza omogenea. Da quando aggiungete l’aglio, la Bagna deve stare al fuoco per circa 40 minuti, senza mai friggere fino a ottenere una crema liscia color nocciola chiaro. A fine cottura si aggiunge il burro prima di andare in tavola. La bagna cauda va servita su un apposito fornello che la mantiene caldissima anche a tavola. In essa ogni commensale intingerà principalmente verdure crude: cardi (dopo averli lasciati a bagno in acqua fredda acidulata con succo di limone), peperoni, foglie di verza, topinambur, cavolfiori cotti a vapore ma al dente, porri, cipollotti, cubetti di zucca cotti al forno, patate lesse, polenta arrostita e crostini di pane.

Gianni Cordola

Questa voce è stata pubblicata in condove, Enogastronomia, Folclore e tradizioni, Lingua piemontese, Montagna Valle Susa, storia Piemonte, Torino e contrassegnata con , , , , , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.